Capita spesso che un film mi piaccia. Meno spesso che mi deluda. Ma capita davvero poche volte, ormai, che un film mi sorprenda, che mi lasci letteralmente a bocca aperta. Ed invece stavolta è successo, ed il merito va a un giovane regista appena ventinovenne, Domenico Croce, che col suo primo lungometraggio, Vetro, classe 2022, è riuscito a sconvolgermi e farmi male come qualcuno non ci riusciva da tempo. Partendo dal fenomeno purtroppo sempre più diffuso degli hikikomori, adolescenti che decidono volontariamente di rinchiudersi nella propria stanza e non vedere più nessuno anche per anni, Croce ci racconta la storia di una giovane, di cui non si scoprirà mai il nome, che riuscirà a straziare anche le corde più dure del nostro animo. Del resto che il giovane cineasta avesse stoffa si era già capito nel 2021, quando, col suo Anne, Croce aveva vinto il David di Donatello per il Miglior Cortometraggio. In Vetro, partendo da un soggetto non suo, ma degli sceneggiatori Luca Mastrogiovanni e Ciro Zecca, Domenico Croce riesce ad entrare completamente in questa malatissima e dolorosissima storia, a farla sua, ed a trasmetterci, anche grazie all’eccellente interpretazione della protagonista, l’attrice veneta Carolina Sala, dolori, insicurezze, dubbi ed orribili e frastornanti certezze di una ragazza la cui vita è tutt’altro che ordinaria. Avvalendosi della bella fotografia dai toni pastello di Cristiano di Nicola, DOP che firma anche la fotografia di un altro bell’esempio di Made in Italy degli ultimi tempi, Piove di Paolo Strippoli (2022), Croce ci farà vivere un’avventura sensoriale davvero destabilizzante, che sovvertirà completamente ogni idea che ci possiamo esser fatti in testa durante la visione. Vetro è un film crudo e crudele, anche se all’apparenza non sembra. Ed assolutamente merita di essere visto. Fino all’ultimo fotogramma.

Sulle note di una graziosa canzoncina, Sweet December di Kid Sexy, e tra i dolci colori di una cameretta adolescenziale rallegrata da piantine e bei disegni ovunque, facciamo la conoscenza di una splendida ragazzina dai capelli rossi, che all’apparenza sembra un’adolescente come le altre. Ma pian piano scopriamo che questa giovane, con la passione per la pittura, vive da anni segregata nella sua stanza senza mai uscirne, con l’unica compagnia del cane Hiro e del padre, che però non vede mai, e che le passa da mangiare e comunica con lei attraverso una sorta di sportellino da gatti posizionato in fondo alla porta. La ragazza trascorre le sue solitarie giornate spiando i dirimpettai dell’altro palazzo, e facendosi tutta una serie di ipotesi macchinose e bizzarre su un poliziotto che parrebbe vivere solo nell’appartamento di fronte al suo. Iscrittasi, su consiglio del padre, ad un social network, la ragazza farà la conoscenza di un giovane di cui col tempo parrà innamorarsi, ma mai abbastanza da uscire da quella stanza, nonostante l’insistenza di lui. Finchè intorno a lei non cominceranno ad accadere cose molto strane, che la porteranno a riconsiderare da zero tutta la sua situazione. Sarà davvero a causa di un killer, che uccise a Torino 12 bambini quando lei era piccola, che ha volontariamente deciso di rinchiudersi nella sua stanza senza più uscirne?

Tutto è duplice, in questa pellicola, tutto porta in sé più di un significato, compreso il titolo, Vetro. Già, perché il vetro è trasparente, ci si può guardare attraverso, ma può anche essere riflettente, una sorta di specchio che ci mostra la verità, la nostra vera anima, e la vera natura del mondo che ci sta intorno. L’ho sentito definire “thriller psicologico”, ma è una definizione che, per me, a questa pellicola va stretta. Vetro è molto, molto di più. È orrore puro, cosmico, dove i mostri sono a un passo da noi, separati da noi da un flebile velo, di qualsivoglia natura, e se pure c’è una parte investigativa, questa non è certo il fulcro principale di tutta la storia, che affonda le sue radici nel profondo più buio ed imperscrutabile degli abissi dell’animo umano. Nei riferimenti espliciti si va da La Finestra sul Cortile di Alfred Hitchcock (1954) ai più recenti Disturbia di D. J. Caruso (2007) e Watcher di Chloe Okuno (2022), ma l’anima di questa sceneggiatura è molto più originale, rarefatta, cristallina, è qualcosa che si vede dall’inizio ma che non si riesce nemmeno lontanamente ad immaginare, ed arriva come un puro cataclisma, con la potenza del Monte Toc che si spacca e trascina via con sé la diga del Vajont  ed i molti paesi costruiti lì intorno. Ci saranno morti e feriti, nel finale di Vetro, veri e metaforici.

C’è spesso confusione, in questo film. Ma non la confusione rumorosa, né quella antipatica che non ti fa capire. No. C’è confusione di intenti, sovrapposizione di piani. Si generano illusioni, giochetto per il quale, alfine, il cinema è nato. Tutto appare in un modo diverso da quello che è. Ma proprio tutto. È questo il bello. Alla fine ogni certezza risulterà sovvertita, anche le più banali, ed in qualche modo liberatorie. Croce sembra suggerirci che a volte è meglio vivere in un inganno piuttosto che nella feroce realtà, come già ci avevano proposto opere quali The Village di M. Night Shyamalan (2004) o The Nest di Roberto De Feo (2019), ma qui mischiate abilmente con qualcosa di simile a quello che accade ai protagonisti di The Others di Alejandro Amenábar (2001), fantasmi a parte. Avete presente la rimozione di un trauma attraverso la volontaria perdita di consapevolezza? Ecco. E non aggiungo altro, perché rovinarvi la sorpresa scioccante di questa pellicola sarebbe davvero un peccato mortale e ne depauperizzerebbe non poco la visione.

Buona parte del merito della riuscita di questa incredibile storia va anche alla straordinaria interprete, Carolina Sala, classe 2000, che coi suoi capelli arancioni sembra quasi un personaggio di una fiaba, con la quale non si prova subito empatia, a causa della sua scelta quanto meno discutibile, ma che presto comincerà a risvegliare in noi sentimenti e sensazioni che ci faranno sempre più affezionare a lei. Oltre ad aver studiato presso l’Accademia Teatrale Lorenzo Da Ponte a Vittorio Veneto (TV) la Sala studia storia dell’arte presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, e questo suo lato artistico è trasposto nel suo personaggio, che ha come passione più grande il disegno, nel quale sfoga tutte le sue debolezze e frustrazioni. Il disegno, più che la stanza in sé, è il suo vero rifugio, il suo porto sicuro, e non semplicemente il suo talento, il suo dono, come sottolinea invece sempre il padre. Nel cast troviamo anche l’attore foggiano Tommaso Ragno, Nastro d’Argento come Miglior Attore Non Protagonista nel 2022 per Nostalgia di Mario Martone. Con una formazione teatrale importante sulle spalle, che lo vede protagonista di molte tragedie greche, Ragno ha anche all’attivo una bella carriera cinematografica, essendo stato diretto, tra gli altri, da registi quali Kim Rossi Stuart, Bernardo Bertolucci, Pupi Avati, Paolo Virzì e Nanni Moretti. Altro nome interessante in Vetro è quello dell’attore veneziano Marouane Zotti, di genitori arabi, diplomato al Piccolo Teatro di Milano; qui interpreta il ragazzo del quale la protagonista si invaghisce online, una sorta di Principe Azzurro dalla pelle ambrata che però cela dietro al suo volto rassicurante anche delle zone d’ombra. Gli altri attori sono tutti poco più che comparse, il tutto gira intorno al terzetto Sala/Ragno/Zotti, che entreranno ed usciranno di scena come attori teatrali su un palcoscenico, in questo caso rappresentato dalla stanza della ragazza, mentre le quinte sono il mondo esterno fuori dalla finestra dalla tapparella quasi continuamente abbassata e la casa oltre la famosa porta sempre chiusa. Non è un caso se per mettere in scena questa rappresentazione drammatica squisitamente teatrale si sia pescato a piene mani tra gli attori che hanno alle spalle svariate esperienze di palcoscenico. La struttura filmica di Vetro mi ha ricordato quella di un altro dramma cinematografico portato in scena nel 2021 da Stefano Lodovichi, La Stanza, il quale, come questo, gira intorno a tre protagonisti che entrano ed escono dalle inquadrature esattamente come gli attori da un palcoscenico.

Tra visioni oniriche e lisergiche, primi piani insistiti, dettagli che non quadrano, posizioni strane della mdp, campi e controcampi tra un volto reale ed uno dentro lo schermo di un pc, sequenze quasi astratte e moti di violenza improvvisi, Domenico Croce movimenta molto bene uno script che se non trattato nel modo giusto avrebbe rischiato di essere molto lento e forse anche noioso. Ma la noia per fortuna non si insinua mai tra le pieghe di questa pellicola che, anzi, pur senza jumpscares o salti forzati, ci tiene ben attenti per tutto il tempo, creando quella giusta tensione di quando si sa che deve per forza succedere qualcosa, e si sta all’erta per cercare di capire quando quel dettaglio fondamentale che cambierà tutto verrà fuori.

Girato durante l’epoca della pandemia, il film più volte ci fa pensare che il mondo fuori dalla stanza della protagonista, che si intravede solo dai fori della tapparella socchiusa, possa essere un post-apocalittico/post-pandemico, ma in realtà su questo dettaglio si gioca solo, non essendo importante, ai fini della storia, quello che c’è fuori, come invece lo era ad esempio nel già citato The Nest, nel quale la reclusione forzata del bimbo protagonista era indotta proprio da ciò che stava succedendo nel mondo esterno. Qui il fuori interessa relativamente. Il gioco è tutto dentro. E la scoperta aberrante che fa alla fine la protagonista ci fa pensare al finale di Quella Casa nel Bosco di Drew Goddard (2011), senza la parte lovecraftiana ed i tritoni striscianti, ma con l’amara consapevolezza che quello che si credeva di vivere fino a quel momento era invece solo una mera illusione, una messa in scena, per nascondere una realtà decisamente più oscura e raccapricciante, senza dover stare sempre a scomodare i Grandi Antichi. Qua bastano i relativi. Parenti? Non si sa. Non se ne è mai sicuri completamente. Ma molto vicini, senz’altro.

Un esordio ambizioso, quindi, quello di Domenico Croce, ma dal mio punto di vista perfettamente riuscito. Una storia simbolica, sulla ricerca della propria identità, una sorta di coming of age che sconfina nel thriller e talvolta anche nel pulp, sottolineato dai colori pastello. Un film di genere che trova però una sua strada personale ed emerge dal mare magnum di prodotti pretenziosi ma vuoti che circolano nel panorama indipendente italiano attuale.

https://www.imdb.com/title/tt14619154


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