“I servi del distruttore resusciteranno di nuovo per camminare sulla terra.”

Napoli è da sempre una delle città più misteriose e ricche di leggende e tradizioni d’Italia. Con il suo Cimitero delle Fontanelle, la Cappella Sansevero, la Chiesa delle Anime Pezzentelle e la Napoli Sotterranea abitata dal famoso spettro del Munaciello, è sicuramente una città evocativa e adatta per coloro che amano il macabro e l’occulto. Nel 2012 il regista Francesco Afro De Falco aveva ambientato proprio nei vicoli della città partenopea il suo bel Vitriol, thriller a tinte massoniche che si sviluppava attorno al ritrovamento di un enigmatico medaglione che faceva scendere sempre più i protagonisti all’interno della Napoli più segreta ed occulta. Ed ecco che un paio d’anni dopo, nel 2014, un altro giovane regista, Giordany Orellana,  una laurea alla University of Southern California, decide di ambientare il suo film, The Grotto, all’ombra del Vesuvio, riprendendo non poco dalla pellicola di De Falco, tanto che in dei punti ne pare quasi la copia carbone, con però molto meno mordente.

La studentessa americana di storia Melissa giunge in Italia per completare la sua tesi in storia romana, e si stabilisce a Napoli, dove abita il fidanzato Carlo. I due prendono alloggio presso la grande casa della defunta nonna di Carlo, a Posillipo, con una bellissima terrazza sul mare. Il luogo sembra idilliaco, ma sotto la terrazza si trova un’inquietante grotta davanti alla quale viene ritrovato proprio quel giorno un cane ucciso e sbudellato. Il padre di Carlo, Luciano, intima la ragazza di non recarsi mai alla grotta in quanto è molto pericolosa. Nel frattempo la giovane, girando per casa, si imbatte nella camera della nonna, dove scopre il suo diario, nel quale raccontava di aver perso suo figlio Benito ma di sentire ancora la sua maligna presenza in giro per casa. Come in molti palazzi antichi napoletani, anche in quello c’è una stranezza: una vecchia chiesa sconsacrata che è stata inglobata nella lussuosa abitazione; qui Melissa scoprirà uno strano libro sui demoni, e da quel momento la vita dei due ragazzi, prima così felici ed innamorati, non sarà più la stessa.

Napoli viene da subito presentata come parte integrante della storia, e non un semplice sfondo. La mdp vaga per le vie più belle della città, ne coglie scorci da cartolina, il lungomare, il Vesuvio, lo skyline, ed infine si ferma, insieme all’auto di Carlo, davanti alla stazione ferroviaria di Napoli Mergellina, dalla quale esce la bionda Melissa. Ma, dopo questo idilliaco incipit, subito cominciano i guai: gli attori parlano per metà in inglese e per metà in italiano, creando un senso di straniamento fastidiosissimo ai fini della visione del film … ma perché? E poi, oltretutto, con quale criterio? Posso capire che Carlo parli in inglese con Melissa, che è americana, ma perché la professoressa Anna De Luca, italianissima, parla inglese con la sua giovane assistente e col collega Giuliano Rizzo, anche loro italici? Ed alla fine addirittura i poliziotti napoletani parlano tra sé in inglese, ma che senso ha? Insomma, o si decideva di dargli un taglio internazionale, facendo parlare tutti in inglese, ma far parlare in italiano solo il padre di Carlo ed il piccolo Benito fa pensare che solo questi due attori non fossero in grado di recitare in inglese, ed invece di innalzare il prodotto lo porta su un livello di scioccante amatorialità, sebbene il padre sia interpretato da Patrizio Rispo, uno degli attori di punta della fiction Un Posto al Sole. Inoltre la musica è altissima, ed in alcuni punti copre completamente la voce degli attori, facendo così preferire la parte inglese sottotitolata alla parte italiana. Insomma, a livello audio, The Grotto è un vero e proprio pasticciaccio.

Ma le atmosfere Orellana prova a crearle, ed il senso di mistero c’è, e manda avanti la visione. La villa della nonna è strepitosamente bella e labirintica, collocata sul lungomare di Posillipo con la terrazza che affaccia proprio su Palazzo Donn’Anna, ritenuto uno degli edifici più infestati di tutta Napoli. L’insistenza con cui fin da subito viene inquadrato ci fa pensare che ci troviamo nei territori della Ghost Story, ed infatti così sarà, sebbene il regista non si limiti ai fantasmi nel suo racconto. La narrazione si dispiega su due piani temporali diversi, passando dal presente in cui vivono Melissa e Carlo al passato a cui si ritorna attraverso la lettura del diario della nonna, all’epoca in cui lei era giovane e suo figlio Benito ancora vivente. Peccato che anche in questo continuo lavoro di flashback Orellana non sia stato in grado di fare la scelta giusta, tralasciando dettagli fondamentali in un’operazione del genere: la fotografia, i vestiti, gli accessori, non possono tassativamente essere uguali nei due piani temporali, altrimenti nessuno spettatore, nemmeno il più distratto, riuscirà a farsi portare indietro nel tempo, restando quindi sempre ancorato al presente senza il minimo senso di coinvolgimento. Il makeup di scena ha alti e bassi. Molto bello quello del demone evocato, Mul’Adur, e discreti anche gli effetti delle ferite, mentre pessimo è quello del povero Benito, che pare un bambino parato (male) per una festa di Halloween a tema Famiglia Addams. Se penso ad un altro bambino sadico e perverso, che ha subito la stessa sorte di Benito qualche anno dopo a Messina, il Cruel Peter di Ascanio Malgarini e Christian Bisceglia del 2019, le differenze di trucco, fotografia ed effetti sono enormi, sebbene non voglia paragonare le due produzioni dai budget completamente differenti. Tuttavia la ricerca di una maggiore credibilità avrebbe senz’altro concorso a rendere più inquietante la figura del piccolo Benito, che sembra invece più corporeo ed in salute, se si eccettuano due piccole occhiaie, della magrissima e quasi eterea protagonista.

Il cast è altalenante. Nessuno si distingue per essere completamente incapace, tranne forse gli attori più giovani, ma nessuno brilla di particolari doti recitative. Nel ruolo della protagonista l’attrice californiana Camille Montgomery, che, sebbene qui risulti piuttosto insipida, è stata successivamente diretta da David Fincher in Mank, classe 2020. Al suo fianco, nel ruolo del fidanzato, il napoletano Mario Rivelli, che ritroveremo in serie televisive quali Don Matteo e L’Ispettore Coliandro. Ultimo nome degno un po’ più di nota è quello della brasiliana Shalana Santana, che interpreta la professoressa Anna De Luca, la cui giovinezza fa un po’ sorridere in quanto appare più giovane degli studenti che seguono il suo corso di demonologia. Mi pare doveroso citare, nel ruolo del demone Mul’Adur, molto più carnale che spirituale, l’attore Rocky Collins, morto ad appena trent’anni nel 2016. Nessuno, comunque, emerge particolarmente, come sottolineato, ed anche l’inglese risulta per quasi tutti, madrelingua esclusa naturalmente, piuttosto stentoreo.

Oltre a non presentare una tipologia di tematica particolarmente originale, il film di Orellana sembra quasi, in alcune parti, ricopiare pedissequamente il già citato Vitriol, forse nella speranza che in pochi lo avessero visto: se là tutto partiva dal ritrovamento di un certo medaglione, legato al mistico Ordine Osirideo Egizio, da parte di una studentessa, qua un antico libro sui demoni ed alcuni frammenti di un vaso, entrambi legati ai cosiddetti Servi Vastatoris, vengono ritrovati rispettivamente da una studentessa ed una professoressa le cui strade si troveranno ad incrociarsi. In entrambi i film una coppia di giovani si barcamenerà per scoprire la verità tra vicoli, musei e cimiteri napoletani, correndo grandi rischi, scomparendo nel nulla o cadendo in un sonno catalettico, anche se il finale risulta più disilluso e definitivo in The Grotto, forse perché De Falco aveva previsto un sequel per il suo film, che però non è stato mai realizzato. Insomma, il canovaccio è davvero molto simile, ed entrambi fanno presa sui molti misteri ed enigmi sepolti nel sottosuolo partenopeo.

Se in linea di massima il film non presenta dunque nulla di originale o particolarmente interessante, si segnala qualche trovata carina, tra tutte la scena in cui Melissa sputa sangue dalla bocca, e sulla pozza che espelle sul pavimento si materializzano le impronte di un demone che cammina verso l’incauto Carlo. Ideuzza visivamente efficace, ok, ma nemmeno questa né nuova né inedita: come scordarsi le orme del terrificante demone invisibile che si materializzano sul borotalco sparso in corridoio dal terrorizzato protagonista di Paranormal Activity di Oren Peli (2007)? Insomma, Orellana pecca un po’ troppo di ingenuità, emerge il suo essere alle prime armi (è questo infatti il suo esordio alla regia), nonostante l’idea di dare un taglio internazionale alla sua opera. Si salvano la fotografia di David Tayar, le location, ed il villain, che è di forte impatto, il demone Mul’Adur, tutto nero e circondato di mosche, che però ricorda (pure lui!!!) il demone rosso di Insidious di James Wan (2010), anche nelle mani dalle lunghe unghie appuntite, praticamente identiche.

Concludo affermando che, se The Grotto non mi ha colpito particolarmente, tuttavia non ne sconsiglio la visione perché ne emerge l’anima misteriosa di Napoli, nella sua bellezza molto spesso inquietante, col mare in tempesta che circonda la magnifica villa esoterica dove si trova a vivere le sue burrasche interiori la dolce Melissa.

https://www.imdb.com/title/tt2856578


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