Deciso ad affrancare il pubblico dalla limitante gabbia dei generi cinematografici, scandagliati comunque sulla scorta del carattere d’ingegno creativo dell’autore con la “a” maiuscola che accresce la sete di sapere degli spettatori per mezzo delle copiose ed estrose interpolazioni apportate a ogni categoria scelta a tal fine, dal mélo alla commedia, dal giallo al thriller, dal pamphlet romantico all’affresco erotico, l’esperto ed eclettico regista transalpino François Ozon punta in Sotto le foglie ad assorbire i limiti dei modelli ricorrenti connessi al canonico polar francese.

L’interazione tra policier (poliziesco) e noir, la cui cupezza di fondo coincide con la caducità dell’esistenza insita sin dal titolo originale, Quand vient l’automne, trae quindi partito da un’attenta rilettura intenta ad anteporre tramite la ricerca formale di nuovi terreni d’espressione l’approfondimento contenutistico dei vari stereotipi congiunti al genere in questione rispetto all’infeconda procedura con la quale vengono fissate le connotazioni degli ormai triti e ritriti elementi segnaletici.

Riscontrabili nella prostituta dal cuore d’oro Michelle, ormai avanti con gli anni, ritiratasi nella campagna borgognona. Nei funghi avvelenati, raccolti per sbaglio, che contribuiscono a esacerbare il rapporto con l’insofferente figlia Valérie. Nel delitto ai suoi danni compiuto con ogni probabilità dall’unico genito, Vincent, appena uscito dal carcere, della miglior amica, Marie-Claude, dell’ex meretrice parigina. Nell’indagine condotta da un’ispettrice in dolce attesa che non lascia nulla al caso. Il volto solcato dal tempo, l’avvertito gioco fisionomico garantitole dalla rimarchevole prova di Hélène Vincent, la genuina spontaneità a contatto con l’ordine naturale delle cose, l’abitudine ad assopirsi nel periodo a cavallo dell’estate, il mix di tenerezza e crudezza frammisto ai diversi momenti di solitudine dell’anziana signora dal passato controverso riescono a preservare la fragranza del lirismo quotidiano ivi connesso dal deleterio schematismo programmatico ad appannaggio degli annosi luoghi comuni. La sicura presa drammatica, cementata tanto dall’originale suspense meditabonda quanto dagli efficaci esami comportamentistici, dispiegati abbeverandosi ai dettagli delle rare accensioni figurative dei guru dell’antiretorica, anziché agli infiniti motivi d’insicurezza convertiti in pleonastici ed enfatici coefficienti cool dai pedissequi seguaci dell’ammiccante hard boiled, mischia ancor meglio le carte. Non per cospargere di piste inopinate la trama dall’impronta dapprincipio intimista. Né per affidare l’accertamento della verità riguardante la morte di Valérie solo ed esclusivamente alla fragile ragazza madre, abbandonata dall’indifferente partner, che freme nella risoluta corazza dell’agente di polizia in procinto di partorire. Bensì per trascendere la struttura rigidamente simbolica dei rapporti familiari esacerbati prima dal risentimento, in seguito dal crescente intervento della tensione che si taglia – come si suol dire – con il coltello.

Alla schiettezza dell’affetto nutrito per il nipotino rimasto orfano, sancito dall’inquadratura della mano rugosa di Michelle congiunta a quella candida del bambino che accoglie la confessione obtorto collo della refrattaria ma sincera nonna stigmatizzandola al momento per poi privilegiare la dolcezza dell’accettazione al fiele dell’incomprensione, corrisponde la dimensione magica del cortocircuito onirico. La reazione mimica di Michelle dinanzi alle punture di spillo della defunta Valérie, nelle vesti dell’ennesimo spirito irrequieto che vaga sulla terra, difetta, almeno all’inizio, sul versante allegorico, dello slancio surreale necessario ad andare oltre il sospetto di manierismo. Alimentato altresì dall’inane sforzo profuso nel raffigurare i vari caratteri, conformi per alcuni aspetti agli woman’s pictures di George Cukor, e le situazioni, tipiche invece del polar di specie bucolica nel frangente preso in esame, incrociando l’analisi sociologica al ritratto inamidato della sfera privata. A sopperire all’algida contemplazione dell’umana imperfezione, in contrasto con la perfezione apparente della legna accostata nel giardino tirato a lucido con l’ausilio del galeotto tornato in libertà, provvede lo spessore descrittivo ravvisabile nella complicità femminile di Michelle con Marie-Claude. Impersonata dalla bravissima Josiane Balasko. Che, forte della psicotecnica recitativa colma di scioltezza, nelle pieghe umoristiche e nella fitta sofferenza in agguato, impreziosisce l’emblematico passaggio dal sarcasmo del disincanto all’incanto dei silenzi, degli stupori, degli imbarazzi trasformati in un tenero congedo dalla solerte dote di parlare con gli occhi, ora pietosi ora persino allegri, per l’inversione di tendenza sancita dal bar aperto allo scopo di rimettersi in carreggiata dal volubile Vincent.

Che, a detta della stessa donna in procinto di pagare dazio all’atroce tumore fulminante, finisce per fare del male anche quando vuole fare del bene. Il lievito di ferocia, rimasta inesplosa, la cerimonia funebre, con le vecchie colleghe di Michelle dagli abiti inappropriati, l’addio alla bella stagione, l’approdo all’età adulta del nipotino, capace in tenera età di persuadere l’insofferente Vincent ad affrontare a testa alta lo strazio della dipartita, sfocerebbero nell’infertile esercizio calligrafico, per via delle zone d’ombra assurte a deposito d’immondizie da tenere lontano da occhi indiscreti sugli scudi al posto della simbolica nudità dell’amore senza più scheletri nell’armadio, se la larghezza di vedute dell’avvertito Ozon non riversasse gli effetti culminanti dell’assillo morale nella sequenza dell’ispettrice divenuta mamma insieme col fanciullo destinato a diventare uomo. L’assoluta limpidità della scena, che tiene sui carboni ardenti persino le platee allergiche alla mirabile finezza di tocco dei rebus ascetici, compensa quindi al risaputo sentimento del tragico preferito talvolta alle schiarite improvvise della trama in grado di scuotere, col massimo della semplicità possibile e immaginabile, gli stati di coscienza dei personaggi coinvolti. A quel punto l’apparizione pacificata dello spettro di Valérie chiude il cerchio alla medesima stregua dei sentimenti di commiato evocati dai paesaggi riflessivi uniti alla densa stagione autunnale. Scevra dall’inutile complessità legata al déjà vu delle macabre danze care all’intellettualismo di facciata. Sotto le foglie tocca dunque il cuore, ancor prima che la sopravvalutata materia grigia dei falsi esperti convinti di capire subito tutto, spiazzando di continuo i vanitosi alfieri dei generi, schiavi delle consuetudini istruite a loro volta secondo copione ai procedimenti iterativi, ed emana la forza incalzante e significante di un’opera d’introspezione nervosa. Avvalorata dalla sfida dello stress da vincere, del nastro da riavvolgere, dell’ennesima pagina da chiudere. Con l’appoggio risolutivo della catartica poesia. Conquistata palmo a palmo.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Verificato da MonsterInsights