“Prima avevamo ogni cosa possibile, ma non eravamo felici”.
In questo assioma sembra essere racchiuso il senso di Shadows, film di produzione italo-irlandese diretto dal regista romano Carlo Lavagna che ha visto la luce nell’anno 2020, prodotto da da Andrea Paris e Matteo Rovere per Ascent Film con Rai Cinema, in coproduzione con Feline Films, e presentato in anteprima al Festival di Roma 2020 nella Sezione Alice. In uno scenario post apocalittico, in un mondo vuoto, dove apparentemente non c’è più nessuno, scorre la vita di tre donne, una madre e le sue due figlie, che vivono in un vecchio hotel dismesso in mezzo al bosco ed escono solo ed esclusivamente di notte evitando la luce del sole. Già dalle prime immagini si capisce la ricercata autorialità del prodotto, e le tre brave attrici, oltre ai costumi convincenti ed alla splendida fotografia di James Mather, concorrono a regalarci una pellicola formalmente davvero bella e curata, capace di catturarci subito nonostante l’estenuante lentezza e l’immenso silenzio dato dalla situazione nella quale si svolgono le vicende narrate. Non si saprà, fino al finale, in quale sottogenere inserire Shadows, se nel post apocalittico, o nel thriller, o nell’horror puro, o semplicemente nel dramma familiare, ma la conclusione renderà tutto assolutamente chiaro.
Alma ed Alex sono due sorelle, poco più che adolescenti, che vivono con la madre nel vecchio Hotel Starlight sperduto nel bosco, in un paese che non viene mai specificato, in un mondo in cui apparentemente sembra non vivere più nessuno, a seguito di un qualche tipo di catastrofe di cui però non si sanno le specifiche. Le tre donne dormono di giorno e svolgono le loro attività di notte perché, a detta della madre, la luce del sole potrebbe essere loro letale, ustionandole fino alla morte. Prive di qualsiasi confort, Alma ed Alex crescono immaginando di conoscere qualche altro essere umano come loro, ed aiutando la madre a coltivare le svariate piante che fanno crescere nella loro grande serra. La natura sta riprendendo il sopravvento su ciò che è stato costruito dall’uomo, e bisogna conoscerla per potervi vivere bene a contatto. La donna istruisce le figlie, e ogni tanto esce a caccia, portando a casa animali che servono sia come cibo che come sacrifici da immolare alla Dea della Terra, la Dea Madre, alla quale le tre donne sembrano essere estremamente devote. Ma troppi segreti sono nascosti nel vecchio hotel e i continui silenzi della madre, insieme alle sue reazioni spropositate quando le ragazze le disobbediscono, indurranno Alma ed Alex prima a fuggire dalla mamma – carceriera, e poi a pretendere delle risposte, che arriveranno come uno schiaffo in faccia nel modo più brutale possibile.
Debitore di autori italiani quali Roberto de Feo ed Emanuela Rossi, ma soprattutto dell’indiano M. Night Shyamalan, che nel finale omaggia con una scena praticamente identica a quella di uno dei suoi film più famosi che non posso citare causa spoiler, Carlo Lavagna costruisce il suo terzo lungometraggio su una sceneggiatura scritta da ben 4 autori, e affida le musiche al compositore romano Michele Braga, noto per aver realizzato le colonne sonore di moltissime pellicole tra le quali ricordiamo Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti (2015), Dogman di Matteo Garrone (2018) ed Il Cattivo Poeta di Gianluca Jodice (2020), per limitarci a quelle precedenti a Shadows. Braga otterrà per questa intensa colonna sonora, nata contaminando musiche ispirate al compositore polacco Krzysztof Penderecki con canti popolari, melodie fischiate, e ballate Anni Quaranta di tono sospeso ed avvolgente, la candidatura ai Nastri d’Argento 2021. La preponderanza dei violini fa crescere l’inquietudine che permea le sequenze del film man mano che le ragazze divengono più irrequiete e sempre meno sottomesse al volere della madre, che, sebbene premurosa ed amorevole, sembra fare di tutto perché le due non escano dal nido provando prima o poi a camminare con le loro gambe. Se è certo che il fulcro del racconto siano Alma ed Alex, coi loro malesseri ed i loro turbamenti adolescenziali, interessante è l’estremo senso di solitudine in cui il regista immerge la figura della madre, questa donna di mezza età, senza nome, sciatta, che passa da momenti di estrema tenerezza nei confronti delle figlie, soprattutto della maggiore, Alma, alla quale sembra avere un attaccamento speciale, a momenti di furia incontrollata in cui le punisce in maniera incredibilmente dura, con la scusa di fortificarle e renderle adatte ad affrontare la realtà quando lei non ci sarà più. Ci si immagina che, nonostante sia dura la vita delle due ragazze, quella della madre, perennemente sola, debba essere ancora più dolorosa e difficile da affrontare. Se a tutto questo si aggiunge che non ci si può più esporre alla luce di un sole evidentemente malato se non si vuole fare la fine di Nosferatu, e che i sonni di Alma sono popolati da incubi terribili, si capirà che sorta d’inferno possa essere la vita di questo piccolo nucleo familiare totalmente al femminile.
Personaggio chiave di tutta la vicenda è sicuramente la giovane Alma, la maggiore ma più insicura delle due sorelle, che non si trova bene ma non ha particolari velleità di ribellarsi alla madre, sebbene sogni l’incontro con un ragazzo e qualsiasi contatto con una persona estranea alla sua famiglia. Nonostante la madre insista sul fatto che nel mondo non vive più nessuno eccetto loro tre, Alma è invece sicura del contrario e dissemina messaggi in bottiglia per il bosco sperando che qualcuno li legga e vada a cercarle. Ad interpretare questa delicata ed insicura fanciulla dagli occhi chiari troviamo Mia Threapleton, giovane figlia dell’attrice Kate Winslet e del regista Jim Threapleton, che sono stati sposati dal 1998 al 2001. Incredibilmente somigliante alla madre, Mia ne eredita il talento e l’espressione dolce e trasognata, che porta lo spettatore, soprattutto quello di sesso femminile, ad empatizzare notevolmente con lei. Sebbene la giovane attrice, classe 2000, avesse già avuto uno piccola esperienza cinematografica nel 2014, Shadows è il suo primo vero palcoscenico importante, dove può mostrare tutte la sua gamma sfaccettata di doti recitative creando un bellissimo personaggio che si rivelerà essere il più complicato dei tre. Al suo fianco, nei panni dell’inquieta sorella maggiore, che propone fughe ogni tre per due ed è molto più sfrontata e irrispettosa nei confronti della madre, l’attrice irlandese Lola Petticrew, mentre la madre è la bravissima attrice inglese Saskia Reeves, che approda al cinema dopo una formazione di tipo teatrale, e trova posto addirittura nel cast stellare di Nymphomaniac di Lars von Trier del 2013. Combattuta tra l’amore che prova per le figlie e la paura che siano troppo deboli ed inadatte ad affrontare il mondo senza di lei, la madre è un personaggio controverso, che spesso agisce in modo incomprensibile, ma che si tende a giustificare abbastanza se si pensa che quello che fa lo fa solo ed esclusivamente per amore delle due ragazze. Il regista confessa di aver scelto la Reeves per il ruolo “perché ha un’innata commistione tra donna inquietante ed estremamente dolce”.
Lavagna dà molta importanza all’aspetto visivo nel suo film, usando una variegata palette di colori e facendo spesso dipingere le sue protagoniste sui muri della loro casa-prigione, dalla quale escono raramente e sempre di notte. La fotografia ama giocare coi contrasti, proponendoci la notte buia ed impenetrabile come qualcosa di accogliente e sicuro ed invece la luce del sole come qualcosa di tagliente, freddo e latore di morte. Le due giovani sono perfettamente a loro agio nell’oscuro bosco notturno, mentre il terrore sembra attanagliarle davanti alla luce diurna. Nell’inquietudine della storia, Shadows è un vero e proprio coming of age, non di entrambe le sorelle ma essenzialmente di Alma, la maggiore, che acquisterà giorno dopo giorno maggior consapevolezza di chi sia lei stessa, e soprattutto chi siano sua madre ed Alex. Sebbene Alma abbia sempre e solo avuto la madre come modello di riferimento, ne risulta e se ne sente molto diversa, e ciò la porterà a prendere delle decisioni che saranno il punto di svolta definitivo della sua esistenza. E se fino ad allora il rudere dello Starlight Hotel era stato il suo nido ed il posto nel quale stava meglio, come più volte sottolinea alla sorella ribelle che invece sogna ogni giorno la fuga, ad un certo punto questo simbolo di un tempo che fu ed ora non c’è più comincia ad assumere per lei contorni sempre più spaventosi, dove vecchi segreti sepolti e orrori indicibili pian piano cominceranno a tornare a galla, insieme ad una vecchia auto coperta dalla vegetazione…
Carlo Lavagna si rivela regista preciso e talentuoso, dando prova di una tecnica assolutamente perfetta e non sbagliando mai un’inquadratura, valorizzando al massimo le performance delle sue tre bravissime attrici che non dimostrano la minima sbavatura nella loro recitazione asciutta, essenziale, e mai pomposa o sopra le righe. I primissimi piani insistiti soprattutto sul volto delle due sorelle dimostrano nelle due attrici un talento davvero fuori dal comune. Dopo il successo del suo Arianna, di cinque anni precedente, Lavagna si riconferma un narratore di storie inconsuete, fuori dall’ordinario nel panorama del cinema italiano, i cuoi prodotti sono spesso avvicinabili più a quelli d’oltralpe che a quelli squisitamente Made in Italy, molto spesso più “cialtroni” ed approssimativi. E’ infatti evidente come, sebbene il cuore ed il cervello di Shadows siano tutti italiani, tuttavia il film sia pensato per il mercato estero, sebbene si debba riconoscere al regista il pregio di non scimmiottare pedissequamente gli stilemi di questo tipo di cinema a cui si rivolge. Shadows combina sapientemente il thriller psicologico, il post-apocalittico e il romanzo di formazione, rielaborandoli in un’operazione non completamente originale ma assolutamente affascinante ed a tratti sorprendente. Tale pellicola ci presenta la bugia come la perfetta creatrice di realtà parallele, altre, che mettono in discussione la stessa identità personale. Il rapporto psicotico-ossessivo della madre con le due figlie si genera dal bisogno reciproco dell’una dalle altre, un bisogno malato, molto diverso da un normale affetto genitore/figlio. Alma e Alex dipendono sì dalla madre che le nutre e non fa loro mancare nulla, ma via via che il film va avanti ci si accorge come sia ancor più la madre a dipendere dalle ragazze, arrivando a chiuderle a chiave nella loro stanza quando compiono anche un solo gesto che potrebbe mettere a repentaglio il loro fragile equilibrio.
Ed il bello di questa operazione di Lavagna è che, una volta giunti in fondo alla visione, quando si vanno a rimettere a posto tutti i pezzi del puzzle, ci si accorge che tutto torna alla perfezione: segno di una sceneggiatura solida e mai tirata via, che se non sciocca completamente sul finale, come forse si sperava, tuttavia riesce a sorprendere più di una volta. L’immaginazione gioca un ruolo fondamentale nella costruzione di questa storia, che su di esse butta un’altra delle sue fondamenta. E perfette sono le foreste di alti alberi in cui viene ambientata la vicenda, inquadrate dal basso all’alto a generare un senso di oppressione e di ansia, esattamente come nello stesso anno farà Oz Perkins nella sua fiaba nera Gretel e Hansel, le cui scene di esterni ricordano molto quelle del film di Lavagna. Ma più di tutti Lavagna cita se stesso, ed il suo precedente lavoro, Arianna, col quale ha strettamente in comune l’elemento della ricerca dell’identità personale, lì di genere, qui più intima, ma che in entrambi i casi parte dal distaccamento dalla propria famiglia, che implica quindi il diventare adulti per poter essere realmente se stessi.
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