Nata dalle acque come Venere, della dea ha la bellezza prorompente ed incontenibile: è Parthenope, nome scelto dal suo padrino in omaggio alla sirena che – si narra – ha dato i natali a Napoli e di cui è considerata dea protettrice. E la bellezza è il fulcro del nuovo film di Paolo Sorrentino; non la bellezza monumentale ed eterna di Roma come ne La grande bellezza, di cui riprende lo spirito malinconico e decadente, ma quella della protagonista, la Parthenope del titolo.
Interpretata dalla bellissima Celeste Dalla Porta (e dalla affascinante e intensa Stefania Sandrelli nella maturità), Parthenope nasce e cresce in una splendida villa partenopea, circondata da un lusso barocco, come il letto ricavato da una carrozza arrivata direttamente da Versailles, con un fratello fragile ed un amico importante, in un rapporto a tre che va oltre l’amicizia, un triangolo fatto anche di ambiguità al limite dell’incesto, spezzato solo dall’inattesa morte del fratello.
È li che, per Parthenope, finisce la levità della giovinezza; e inizia a perdersi, fino a ritrovarsi grazie alla sua passione per gli studi e per l’antropologia ed al sostegno di un anziano professore che sostituirà la figura paterna, completamente assente dopo la tragedia del figlio, il professor Marotta (un eccezionale Silvio Orlando).
Se La grande bellezza era un omaggio (se pur critico) alla Città Eterna, Parthenope è un omaggio alla sua Napoli; se con È stata la mano di Dio Sorrentino si era avventurato in un racconto quasi autobiografico, la Napoli di Parthenope è lo specchio di un mondo spaccato a metà, dalla pomposa ricchezza di alcune famiglie alla miseria di parte della popolazione, visto con gli occhi di chi è privilegiato per nascita e per aspetto ma filtrato da quelli malinconici e giustappunto critici del regista. La Napoli di Sorrentino è magnificamente descritta dalle parole della diva Greta Cool (una passionale Luisa Ranieri), una città ‘dove non si arriva da nessuna parte’, in una sorta di girotondo vizioso su se stessi; non a caso anche Parthenope, per trovare la sua via, lascerà infine la sua Napoli per andare a vivere e lavorare al nord, dove rimarrà tutta la vita.
Nel percorso della sua gioventù, la protagonista ci mostra lo splendore della città in un chiaroscuro di luci ed ombre; dalle feste scintillanti al primo amore, dall’incontro con lo scrittore americano John Cheever (splendido cameo dell’istrionico Gary Oldman) a quello con il mondo camorrista nella grande fusione tra Criscuolo e Casamicciola, dall’insegnante di recitazione Flora Malva (una irriconoscibile ed intensa Isabella Ferrari) alle illusioni del mondo dello spettacolo, dal ricco corteggiatore che – rifiutato – denigra la sua bellezza come la volpe che non arrivava all’uva fino ai vicoli di una Napoli devastata dal colera, dal grottesco vescovo dissoluto e libertino dotato di un fascino arguto al figlio celato dal professor Marotta, Parthenope attraversa la vita dall’alto della sua beltà, amica e nemica al tempo stesso, perché sotto l’aspetto incantevole c’è un’anima inquieta e malinconica.
In Parthenope tutto è eccessivo; dalla splendida scenografia alla pomposità dei particolari, dalla vita della protagonista alle descrizioni dei suoi incontri, la Napoli raccontata da Sorrentino ha un che di felliniano, un mostrare la bellezza fino all’estremo arrivando a toccare punte kitsch. Un film che lascia senza fiato per la sua estetica curata e senza misura, dove la bellezza cela la malinconia, in Parthenope come in Napoli, in un intreccio indissolubile tra dea e città; come Venere, Parthenope nasce dalle acque ed attrae lo sguardo concupiscente di tutti, uomini e donne, cui si concede a tratti, nuda nel corpo e nell’anima sotto lo sguardo dello spettatore, lasciando che la sua bellezza offuschi il suo intelletto sagace fino al momento della decisione che cambierà il corso della sua vita.
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