Migaso è un artista che porta con sé il calore e la ricchezza del folklore calabrese, fondendolo sapientemente con un’anima rock e blues. Cresciuto tra serenate e tarantelle, ha sviluppato un bagaglio musicale unico, che spazia dai classici del rock a influenze italiane come Ligabue e De André. Nonostante l’approccio tardivo alla chitarra, Migaso ha rapidamente colmato il divario grazie a un’intensa dedizione e all’incontro con Franck Barrovecchio, che ha trasformato il suo percorso artistico. Oggi, Migaso ha appena presentato il suo nuovo singolo “Viva L’estate”, un brano che unisce tradizione e modernità e che ha riscosso successo su oltre una cinquantina di radio italiane. Scopriamo di più sulla sua musica e sul suo viaggio artistico in questa intervista esclusiva.
1) Le tue radici calabresi e il folklore del sud Italia sono evidenti nella tua musica. Come riesci a bilanciare queste influenze tradizionali con il tuo amore per il rock e il blues?
Porto sempre con me le mie radici, che sono una parte fondamentale della mia identità. Amo reinterpretare brani popolari in chiave rock, arricchendoli con arrangiamenti moderni e influenze elettro. Un esempio è “Il Brigante” dall’album Luminescenza, o la mia versione di “Bella Ciao” presente in MeKaNiKa. Mi piace anche includere delle sorprese nei miei lavori, come la ghost track del mio primo album, Migasolandia, dove è presente una tarantella improvvisata insieme a mio padre durante una sessione di registrazione a Parigi. Le mie origini sono una costante nella mia musica, e ne sono profondamente orgoglioso.
2) Hai iniziato a suonare la chitarra relativamente tardi. Come pensi che questo abbia influenzato il tuo stile e il tuo approccio alla musica rispetto a chi ha iniziato da più giovane?
Quando ho iniziato a suonare, non c’era la vasta offerta di tutorial che oggi è facilmente accessibile, e la strumentazione era molto più costosa. Per imparare, dovevi recarti in edicola, acquistare riviste mensili dedicate alle leggende della chitarra e cercare di capire da solo come replicare ciò che leggevamo. Se eri fortunato, potevi trovare un numero accompagnato da un CD, ma i video erano inesistenti. Si imparava ascoltando musica, incontrando altri musicisti più esperti e partecipando ai concerti, dove osservavi attentamente i chitarristi per cercare di carpire i loro segreti.
Questo percorso da autodidatta rappresentava una sfida continua, ma era anche un’opportunità per sviluppare capacità di ascolto e adattamento uniche e personali. Vivere a Parigi mi ha dato l’opportunità di incontrare e suonare con persone provenienti da culture diverse, il che è stato semplicemente fantastico. Ho imparato tantissimo dal contatto con altri musicisti, e questo mi ha permesso di seguire il mio percorso senza essere influenzato o conformato a uno stile predefinito. Il mio stile è sicuramente un po’ “bastardo”, ma è proprio questo che mi rende unico. Sono io!
3) L’incontro con Franck Barrovecchio è stato un punto di svolta nella tua carriera. Quali sono i principali insegnamenti che hai tratto da questa collaborazione e come hanno influenzato il tuo sviluppo artistico?
Ho imparato che l’età non ha importanza; ciò che conta davvero è quello che porti dentro di te e come riesci a esprimerlo. Questo percorso mi ha insegnato l’umiltà e mi ha permesso di aprire ulteriormente la mia mente, immergendomi profondamente nel Blues.
4) Hai creato un genere che definisci “Blues della Calabria”. Puoi raccontarci come è nato questo progetto e cosa significa per te unire il blues con le sonorità tipiche della tua terra d’origine?
Ecco una versione rielaborata della risposta: Quello che io chiamo il “Blues della Calabria” rappresenta il sentimento che prova una persona che vive lontano dalla propria terra d’origine. È una nostalgia profonda (“Sento la nostalgia di un passato… Dove la mamma mia ho lasciato…”) che emerge quando sei all’estero, come quando guardi una partita della nazionale italiana e, vedendola perdere, sai già che il giorno dopo in ufficio ti prenderanno in giro per il semplice fatto di essere italiano.
Questo concetto di “Blues della Calabria” è universale, particolarmente rilevante oggi, in un mondo in cui molte persone sono costrette a fuggire dai loro paesi a causa della guerra, ritrovandosi (se sono fortunate) in una città sconosciuta, senza conoscere nessuno e senza nulla. Più che una questione di sonorità, lo definirei un mood, un’espressione legata all’anima, che si manifesta attraverso la voce e il canto. Anche Celentano ne parlava nei suoi brani, come in “Il ragazzo della via Gluck”.
5) Il tuo nuovo singolo “Viva L’estate” è in rotazione su molte radio italiane. Cosa ti ha ispirato a scrivere questo brano e cosa speri che il pubblico percepisca ascoltandolo?
Il mondo sta attraversando un periodo oscuro e incerto, dove la TV ci bombarda con immagini apocalittiche, guerre, violenza e un futuro che sembra privo di speranza. Con Viva l’Estate! voglio portare un po’ di luce e colore in questa epoca. Voglio offrire la leggerezza della vita e regalare un momento di sogno a chiunque senta il bisogno di evadere, anche solo mentalmente, da situazioni complicate.
Viva l’Estate! è un attimo di respiro, una pausa nella frenesia delle nostre vite. È qualcosa di fresco e divertente che ispira voglia di evasione e leggerezza.
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