Osgood Perkins, detto Oz, è il primogenito dell’attore Anthony Perkins e della modella Berry Berenson. Figlio d’arte, respira cinema fin da bambino, cosicché decide di intraprendere la carriera prima di attore, poi di sceneggiatore e successivamente di regista. Come attore esordisce, a fianco del padre, in Psycho II di Richard Franklin, nella parte di Norman Bates da piccolo, e continua in opere come la serie tv Alias (2005), il film di J. J. Abrams Star Trek (2009) e ultimamente Nope di Jordan Peele (2022). Dopo aver scritto un paio di sceneggiature per altri, nel 2015 si mette a lavorare su quello che diverrà il soggetto del suo primo film, February – L’Innocenza del Male, una sorta di storia satanica/demoniaca quasi interamente al femminile girata all’interno di un collegio cattolico. L’opera delinea subito i tratti salienti del cinema del figlio di Bates: location suggestive ed estremamente misteriose, grande cura della fotografia, costruzione della suspense affidata ad una certa lentezza, svolgimento delle vicende basandosi su episodi e ricorrendo spesso a flashback, importanza primaria data alle interpreti femminili. Il soprannaturale regna sovrano, e serpeggia all’interno di quelle che sembrano vite normali di persone normali. Nel 2016 scrive e dirige un’altra storia delicatamente femminile, Sono la Bella Creatura che vive in Questa Casa, e nel 2020 riadatta per lo schermo una delle fiabe più note dei Fratelli Grimm, quella di Hansel & Gretel, rivedendola però in chiave femminile, che si intuisce già nella modifica del titolo, che diviene Gretel & Hansel. Da una fiaba di per sé già piuttosto inquietante, Perkins riesce a trarre un horror di rara potenza visiva e concettuale, sempre seguendo quelli che sono i suoi canoni stilistici. Si arriva così al 2024, quando vede la luce nelle sale l’ultimo lavoro del regista newyorkese, Longlegs, che vanta nel ruolo del villain l’attore Nicolas Cage, ormai sempre più dedito all’horror, e che diventa quasi subito un caso mediatico, venendo descritto come uno dei thriller/horror più potenti degli ultimi tempi, ed accostato a capisaldi del genere quali Il Silenzio degli Innocenti o Seven. Tuttavia Longlegs ha una sua decisa originalità che, se lo porta, ovviamente, ad attingere a ciò che è già stato fatto, riesce tuttavia a renderlo unico, l’ennesimo tassello personale e ben riuscito della filmografia di Osgood.
Le vicende si svolgono in Oregon. L’incipit degli anni Settanta vede una bimba che nel vialetto dietro alla sua casa innevata scatta foto con una Polaroid, e viene avvicinata da uno strano individuo truccato di bianco che le fa gli auguri per il suo compleanno. Ci si sposta poi negli anni Novanta; l’agente dell’FBI Lee Harker sembra possedere una sorta di chiaroveggenza che le permette di rintracciare i criminali con facilità. Viene quindi affidata ad una squadra speciale che indaga da oltre trent’anni su dieci omicidi-suicidi che vedono coinvolte intere famiglie. La dinamica è sempre la stessa: il padre fa fuori tutta la famiglia e poi si uccide. Unico punto in comune tra le famiglie uccise è che in ognuna c’era una bimba nata il 14 del mese. Sulle scene di tutti i crimini è stata trovata una lettera scritta in un alfabeto sconosciuto e firmata Longlegs: chi o che cosa sarà che spinge i padri a uccidere brutalmente i propri familiari e poi a togliersi la vita?
Longlegs è un film che gioca tutto sull’atmosfera, sul suscitare puro terrore, riprendendo un po’ il mood dei film vecchia scuola anni Novanta, fatti di voyeurismi e vedo/non vedo. Lo spettatore si ritrova catapultato al fianco della protagonista, Lee, alla scoperta, steb by step, di ciò che il folle Longlegs sta compiendo, del suo disegno satanico e destabilizzante. Per l’idea del demonio che si insinua nei nuclei familiari distruggendoli dall’interno, facendo leva proprio su uno dei membri della famiglia stessa, mi viene da pensare, più che agli improbabili paragoni che sono stati fatti per questo film, alla bella pellicola di Scott Derrickson del 2012 Sinister, in cui il demone Bughuul portava uno dei bimbi a far fuori barbaramente tutti i suoi familiari. Comunque, riferimenti o meno ad altre opere, che ci sono sempre nel lavoro di un cineasta cinefilo com’è appunto il nostro Perkins, quello che rende Longlegs un vero gioiello che brilla nel panorama horror attuale statunitense è il sapiente uso della macchina da presa, che ci porta letteralmente all’interno di un vortice di paura ed angoscia primordiale che non fa che aumentare, trascinandoci giù fino al funereo finale, che lascia solo apparentemente aperta una finestrella di speranza.
Perkins come sempre dota la sua opera di un ritmo misurato e calcolato nei minimi dettagli, dosa gli spaventi, che comunque ci sono e sono notevoli, si avvale di una superba fotografia tenebrosa e tagliente e di un tappeto sonoro che lascia ampio spazio ai rumori disturbanti, marci, sconvolgenti; tutte caratteristiche che non possono non portare lo spettatore attento ed affamato di adrenalina in un mondo altro, sottosopra, dove nulla avviene come dovrebbe, insinuando l’angoscia nelle viscere, più attraverso ciò che ci porta ad immaginare che attravreso ciò che viene mostrato. Cage nei panni di Longlegs è sicuramente agghiacciante, ma non è lui la cosa più paurosa del film, è il non detto, il sottinteso, ciò che Perkins ci porta sapientemente ad ideare e metabolizzare nel nostro io personale.
Certamente, non mancano i difetti. La sceneggiatura ogni tanto vacilla un po’, e ci sono dei passaggi un tantino ferruginosi e non di immediata comprensione. Così come il trucco prostetico di Cage, forse finanche eccessivo, e la sua invece poca caratterizzazione psicologica e costruzione di un background personale. Però, a ben guardare, quando si parla di adoratori del demonio poche volte questi sono stati scavati in profondità, perché generalmente chi si approccia al culto del diavolo ha ben poco fuori a cui appigliarsi. Quale sia la genesi di Longlegs, perché come data scelga proprio il 14 del mese, la scelta del nickname e lo scopo delle lettere anonime ma incomprensibili sono elementi che si possono intuire ma che Perkins non si premura mai di spiegarci fino in fondo, lasciando quell’aura di incompletezza che tanto disturba lo spettatore medio che non è abituato a ragionare guardando un film, soprattutto se di genere horror. Il problema è che, finché si continuerà a ragionare così, l’horror resterà sempre e soltanto un genere di serie B, non elevandosi mai, in quanto tutto ciò che è un po’ più ricercato o complesso viene bollato come lento e noioso.
Longlegs è ottimo, invece, sia come thriller poliziesco che come horror demoniaco, e trovo che Perkins sia stato abile nel riuscire a far subentrare un sottogenere all’altro all’interno della storia proprio quando meno te lo aspetti. Il ritmo mantiene la tensione alta dall’inizio alla fine, certo se ci si aspetta un prodotto alla Terrifier meglio lasciar perdere, qui siamo su tutt’altro genere, sebbene non disdegni assolutamente la saga di Leone dedicata ad Art The Clown. Entrambi i registi ci portano direttamente all’inferno, ma in maniera totalmente differente l’uno dall’altro.
Le riprese si sono svolte interamente a Vancouver, e sono durate poco più di un mese. Oltre all’ottimo Cage, nel cast, ovviamente, emerge la protagonista, Maika Monroe, nei panni di Lee Harker. La giovane attrice californiana si era già distinta in ruoli da protagonista in horror importanti quali The Guest di Adam Wingard e It Follows di David Robert Mitchell, entrambi del 2014, o Watcher di Chloe Okuno del 2022. Sebbene avessi apprezzato le sue precedenti performance, qui non è riuscita a convincermi del tutto. Non che non sia brava, ci mancherebbe, ma credo che abbia giocato un po’ a campare di rendita: si costruisce un’espressione molto adatta a questo suo introverso personaggio, con un passato oscuro ed una madre che a tratti ricorda quella di Carrie White per il continuo ricorrere alla preghiera, e quell’espressione non se la toglie più dal volto per gli oltre cento minuti del film! Mi pare un po’ eccessivo! Se in alcune scene riesce a lasciare il segno, in altre risulta moscia e poco convincente. Nei panni del collega di Lee, l’agente speciale Carter, troviamo l’attore Blair Underwood, noto soprattutto per la sua carriera televisiva in serie quali L.A. Law – Avvocati a Los Angeles e Sex and the City; qui dà vita ad un personaggio quasi macchiettistico, che non convince mai del tutto, ma per il quale si riesce, infine, a provare simpatia. La migliore prova attoriale del film ce la dà, insieme a Cage, l’attrice e cantante Alicia Witt: dopo aver debuttato bambina in Dune di David Lynch (1984) diviene nota al popolo dell’horror per aver interpretato Natalie nel teen movie Urban Legend di Jamie Blanks (1998), passando poi per grandi titoli quali Vanilla Sky (2001) di Cameron Crowe al fianco di Tom Cruise e Penelope Cruz ed 88 Minuti di Jon Avnet (2007) al fianco di Al Pacino. In Longlegs è la giovane e disturbata mamma di Lee, Ruth, che l’ha cresciuta da sola fin da quando era una bambina. Ruth è un personaggio strano, enigmatico, che fin da subito pare avere qualcosa da nascondere, e che da marginale passa ad essere una delle figure portanti della vicenda. L’interpretazione della Witt è davvero notevole, oscurando nettamente più di una volta la monoespressiva Monroe. Infine si segnala, nel breve ma significativo ruolo di Carrie Anne Camera, una delle tre principali interpreti del primo film di Perkins, February: Kiernan Shipka, che nei suoi 25 anni di vita si è già fatta distinguere in opere quali The Silence di John R. Leonetti, dove recita al fianco di Stanley Tucci, e il reboot del cult Twisters di Lee Isaac Chung (2024).
Concludo quindi affermando che Longlegs è un film che va visto assolutamente, facendosi trasportare senza indugio nella torbidezza della storia creata da Perkins e non opponendo resistenza alcuna alla virata finale nei territori del paranormale, nei quali il figlio di Norman Bates dimostra di trovarsi a suo perfetto agio fin dal principio. Non sarà il capolavoro che ci hanno presentato, Longlegs, ma sicuramente è un ottimo esempio di come ancora oggi c’è chi creda nel genere e lotti per trasformarlo in qualcosa di più elevato che donnine urlanti e budella al vento da gustare davanti a una montagna di popcorn. Si può ancora rimanere stregati da un horror americano, e questa, ragazzi miei, ne è la prova tangibile ed incontrovertibile.
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