Chi era Eduard Limonov? È la domanda a cui prova a rispondere l’omonimo film di Kirill Serebrennikov, ispirato al romanzo biografico di Emmanuel Carrère (pubblicato da Adelphi). Militante rivoluzionario, dissidente mai allineato neppure con la dissidenza, scrittore underground, poeta, delinquente, guerrafondaio, senzatetto, attivista politico, romanziere, finanche maggiordomo di un miliardario a Manhattan.

Le mille vite di Limonov sono raccontate da Serebrennikov in un viaggio lisergico attraverso la Russia, l’America e l’Europa durante la seconda metà del XX secolo, con un protagonista magnetico e senza regole, fedele solo a se stesso e alle sue idee, magistralmente interpretato da un Ben Whishaw perfettamente a proprio agio. Nonostante le quasi due ore e mezza di visione e la divisione in capitoli, il film non riesce a contenere tutte le imprese di Limonov raccontate nel libro, concentrandosi sui dati salienti ed essenziali. Forse, per descriverlo sarebbe occorsa una trilogia, ma già così Serebrennikov riesce a mostrare l’essenza del poeta radicale e antieroe politico. Raggiunta una certa fama in patria, Limonov si trasferì con la moglie Yelena a New York, dove visse gli alti e bassi della ricchezza e della povertà estrema. Fu poi lasciato da Yelena, visse per strada, ebbe esperienze omosessuali con muscolosi afroamericani, arrivando infine a lavorare come maggiordomo di un ricco intellettuale a Manhattan frequentato da altri poeti e scrittori dissidenti russi (simbolico il cameo dell’incontro con Evtušenko).

È tornato in seguito in Europa, a Parigi, per entrare nei circoli letterari, ottenendo finanche la cittadinanza francese; ma, dopo la caduta del Muro e dell’Unione Sovietica, decise di far ritorno in patria, dove fu attivissimo in politica, divenendo uno dei leader della coalizione di forze di apposizione L’Altra Russia – posizione che gli costò un paio di arresti. Fautore di una Russia nazionalista, ha tuttavia sostenuto la politica estera di Putin durante la cosiddetta rivoluzione arancione in Ucraina nel 2014. Figura complessa, ambivalente, eccentrica, a tratti eccessiva, Limonov, morto a Mosca, nel 2020, a settantasette anni, ha vissuto una vita da eroe romantico e decadente. Così lo definisce nell’introduzione alla biografia romanzata di Carrère la scrittrice Yasmine Reza:”Eroe che l’ombra, la monotonia dei giorni e i semplici piaceri della vita quotidiana uccidono più di ogni altra malattia. Il personaggio romanzesco che Limonov sogna di essere vuole il rumore, la luce accecante e la frenesia”. Uno spirito indomito e unico, quasi dannunziano nel suo essere avventuroso e libertino, ma con una salda anima russa.

Non a caso il film ha avuto una genesi non facile, trovando il suo equilibrio perfetto nell’essere diretto da un altro russo. Serebrennikov ha infatti compreso appieno l’anima tormentata di Limonov, ma anche quella di un intero popolo nell’ampio arco temporale che lo ha visto agire. Dall’Unione Sovietica alla caduta del Muro, fino a Putin, la complessità di un periodo storico che ha cambiato il mondo si intreccia con la profondità attraverso cui il regista ha scavato nell’anima inquieta di Limonov. Dando vita ad un’opera visionaria, lisergica, dagli improvvisi mutamenti di ritmo e finanche di stile, accompagnati dalla musica intramontabile di Lou Reed, colonna sonora del lungometraggio e della vita del poeta e scrittore russo dall’indiscusso fascino ribelle. Dissidente, libertina e dichiaratamente bisessuale, assolutista e contraddittoria, la figura di Limonov è una pietra miliare per meglio comprendere un popolo e la sua storia.


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