Siamo nei primi anni Settanta e nelle prime commedie sexy troneggiavano nomi del calibro di Pippo Franco, Lino Banfi e, poco in là, Renzo Montagnani… mentre un altro volto si faceva strada a suon di successi popolari era quello di Lando Buzzanca, che tanto simboleggiò l’immagine del “maschio italiano” sotto una certa ottica tutta da ridere.

Il tutto grazie ad una sequela di titoli che lo hanno fatto affermare nell’empireo del cinema sexy rendendolo reuccio del genere, da Il merlo maschio a L’uccello migratore, fino a Jus primae noctis,  All’onorevole piacciono le donne e La schiava io ce l’ho e tu .

Diretto nel 1973 da Giorgio Capitani, quest’ultimo viene ora riscoperto su supporto dvd da Mustang Entertainment in collaborazione con Eagle pictures, consentendoci di gustare di nuovo un’altra sagoma buzzanchiana dedita alla seduzione e al machismo ironico.

Lui è Demetrio Cultrera detto Dedè (Buzzanca), siciliano di successo che non si lamenta della sua vita. Scapolo e seduttore incallito, è il classico esempio di persona realizzata in tutto, senza alcun ostacolo che possa rovinargli l’esistenza. Almeno fino a quando non si innamora della bella Rosalba Giordano (Catherine Spaak), giovane figlia di un potente uomo d’affari, il re del tonno Giordano, la quale gli fa perdere così tanto la testa da portarlo addirittura sull’altare.

Ma la vita coniugale si rivela essere per Demetrio un vero e proprio inferno, tra insoddisfazioni e momenti a dir poco stressanti, coadiuvati anche dall’isterismo in cui vive l’amante Elena (Adriana Asti), moglie di un commissario di polizia convinta di essere perennemente pedinata dal marito. A fronte di ciò, Demetrio decide di prendersi una donna schiava, spingendosi addirittura in Amazzonia dove trova la bella Manua (Veronica Merin).

Giunto a Palermo con lei, Dedè pensa di dare inizio ad una nuova vita spensierata, senza calcolare, però, determinate conseguenze.

Con un’ironia che risulta più graffiante di quello che sembra, La schiava io ce l’ho e tu no ancora oggi, nel XXI secolo, mostra uno spaccato esistenziale e, soprattutto, mentale di quel periodo anni Settanta italiano, dove a vigere era sempre e comunque la legge del testosterone. E lo fa ambientandosi innanzitutto in un tipico sud dove i maschi alfa dovrebbero comandare sia sulle donne che su ogni altra categoria sessuale (non manca una piccola parentesi riferita alla ghettizzazione del mondo gay).

Si rideva di tutto ciò all’epoca, facendo magari recepire allo spettatore la sottile denuncia iclusa tra le righe di uno script pregno di siparietti comici firmato da Sandro Continenza, Giulio Scarnicci e Raimondo Vianello su soggetto di Nino Longobardi. Uno scipt in cui a contare soprattutto l’istrionismo di Buzzanca stesso, che con grande professionalità e presenza sottilmente comica delinea alla perfezione un’altra figura della sua galleria di “merli maschi”. Affiancato da un tris di bellezze quali sono la Spaak, la Asti e la Merin, quest’ultima nella sua unica interpretazione cinematografica.


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