Antonello, benvenuto sul nostro magazine. Il tuo nuovo singolo “Harley & Davidson Legend” segna una nuova fase della tua carriera. Cosa ti ha spinto a passare dalla musica elettronica al cantautorato?


L’esigenza di produrre una mia canzone covava sotto la cenere della musica da tempo. La strumentazione che usavo e che mi aveva attratto inizialmente era tutta orientata a produrre un altro genere musicale: dalla Lounge alla Techno, fino alla musica da film. Ho dovuto fare un vero e proprio reset, mi sono rimesso a studiare, ho modificato il mio studio e ho cominciato a tradurre emozioni in musica. “Harley & Davidson Legend” per me è stata quella ballad che ha spostato ulteriormente il mio baricentro cantautorale verso un genere meno intimista, aprendo una nuova strada da percorrere. Ma rimane la voglia e il piacere di condividere e comunicare emozioni. È stimolante perché oggi non so che canzone scriverò domani o tra un mese, dipende da tanti fattori, da tanti stati d’animo, da tutta quell’energia che ci restituisce il mondo che ci circonda, il microambiente in cui viviamo.

Cosa rappresenta per te la figura dell’Harley-Davidson e come hai cercato di catturarla nella tua musica?


Essendo un cantastorie tra i tanti, ho voluto scrivere un brano su Harley e il suo amico Davidson perché sono approdato in questo nuovo universo, ritrovando nuovi stimoli che si stavano spegnendo. La passione per la musica si è fusa con quella per il motociclismo ed essendo un nuovo harleysta, ho voluto conoscerne la storia. E come farlo se non partendo dalle sue origini? Questo successo mondiale ha delle ragioni profonde che si sposano con quelle della musica e ruotano tutte attorno alla condivisione, all’amicizia, all’esigenza e alla voglia di stare insieme. Non potevo non scrivere di questo, ma sapevo di dover fare qualcosa in stile Harley, e un aspetto un po’ retrò, vintage, è stata la cornice dentro cui ho inserito le note di una ballad che torna indietro di tanti anni, alle origini, il punto 0 da cui tutto è partito. La storia di due giovani amici sin da bambini e un piccolo garage, una storia fatta di passione, una storia che ci ha regalato un mondo fatto di acciaio, asfalto e di cuore.

Quanto è stato importante per te ritrovare le tue radici musicali in questo processo di evoluzione artistica?


Direi che è un passaggio naturale per me, come per tanti artisti, e per ogni persona. Siamo in continua evoluzione, non siamo immuni ai cambiamenti, ma le radici sono fondamentali per non perdere la rotta. Il mio istinto mi porta verso il cantautorato, che può essere declinato in vari modi, da quello impegnato a quello di protesta, a quello classico, ma la cosa fondamentale è avere la voglia di esprimere un’idea e condividerla in musica. Il mio secondo album, “Sottovoce”, è stato scritto in piena pandemia, e si sente tutta dentro quei testi e quelle note. Ma le stagioni passano e noi mutiamo con esse, così come la nostra musica e le cose che sentiamo di dover comunicare.

Puoi parlare della tua collaborazione con PaKo Music Records e come ha influenzato il tuo lavoro su questo brano?


Con Pako Music Records ci siamo conosciuti e dal primo impatto ho sentito subito una certa empatia. Ho presentato diversi brani, ma avevo appena ultimato la ballad “Harley & Davidson Legend” e la collaborazione con l’etichetta è stata fondamentale per il lancio di questo brano e la sua promozione. La PMR mi ha fatto muovere i miei primi passi in questo mondo completamente diverso da quello che conoscevo, in un modo professionale. Mi ha supportato su tutti i passaggi tecnologici, sulle varie piattaforme, il piano editoriale pre-lancio, l’inserimento in playlist, interviste, blog e radio. La collaborazione con la PMR è stata fondamentale per sostenere e divulgare questa canzone che ha fatto da apripista ai nuovi brani che verranno.

Qual è stata la parte più impegnativa nella creazione di “Harley & Davidson Legend”?


Sentivo di voler raccontare la storia di un successo di due persone che hanno creato una leggenda. Tradurre una storia in una canzone, per la mia natura, mi porterebbe a scrivere un romanzo. Ho dovuto sintetizzare, concentrare in poche parole un concetto. Come le nostre vite, che sono fatte di due o tre materiali, dentro questa canzone ci sono due o tre emozioni che alimentano la storia, fatta di passione, successo e cuore. La musica fa il resto; in quei soli sento quell’acciaio vibrare come sento il motore di una moto che va e ti regala quei momenti di libertà, dove ti senti rinascere.

La tua musica è cambiata molto nel corso degli anni. Come vedi l’evoluzione del tuo stile e quali sono i tuoi riferimenti musicali principali?


Se ripenso alla musica sperimentale che facevo da giovane usando un multitraccia della Tascam o alle nottate passate a settare i canali MIDI di tastiere ed expander, e a quello che suonavo, e mi catapulto ad oggi, che dirvi? È come se fossero passate ere geologiche. La mia musica di riferimento preferita, che ascolto sempre, è il country. La definirei il tappeto di sottofondo della mia quotidianità, questo genere mi influenza molto e sto lavorando a un nuovo brano tutto imperniato su queste sonorità. In merito alla musica italiana, amo tutto il vecchio cantautorato per me intramontabile. Prediligo De Gregori, ma amo molto Fabrizio Moro, Tiziano Paradiso, Ermal Meta, ma ascolto di tutto e trovo in tutta la musica sempre qualcosa che emoziona. Quello che non amo è etichettare, classificare, circoscrivere la musica dentro un concetto di genere musicale, perché questi confini a volte sono labili ed ecco spuntare i sottogeneri, anche se capisco che è una forma pratica per orientarsi.

Quanto è importante per te il processo di scrittura dei testi? C’è un messaggio particolare che vuoi trasmettere con “Harley & Davidson Legend”?


Per chi si spaccia per cantautore, ovviamente il testo è una parte importante, direi fondamentale. Ora si apre e si tocca un tema a me caro, ma cerco di sintetizzare i concetti fondamentali collegati a questo aspetto. Nasce prima il testo o la musica? Non esiste una regola, accadono entrambe le cose. Il testo condiziona la musica o la musica sacrifica il testo? Stessa risposta di prima: accadono entrambe le cose, perché alla fine ci sono delle regole che sono matematiche, che impongono delle forzature. Diversamente non faremmo canzoni, ma poesie o prose. Per la mia esperienza, le canzoni per me più riuscite sono figlie della spontaneità: premi rec e sperimenti. Queste sono le canzoni che a me rimangono nel cuore, quelle più costruite, più rimaneggiate forse sono tecnicamente migliori, ma spesso poi a me rimangono antipatiche come il primo della classe. Comunque, non sono un paroliere, sono un semplice cantautore, e sono due cose molto diverse. Con “Harley & Davidson Legend” voglio, con leggerezza, trasmettere un messaggio che racconta una storia di un successo che ci consegna oggi momenti di libertà, passione e amicizia.

Cosa ti piace di più della fase di produzione musicale, e come riesci a bilanciare l’aspetto creativo con quello tecnico?


È un momento prezioso della mia esistenza. Non sono costantemente in studio, ma quando mi siedo lì è come se mi sconnettessi totalmente dal mondo e finalmente sono da solo con me stesso, quel me stesso che frequento poco e quando ci incontriamo stiamo bene insieme. Ho il mio bel foglio di carta bianco e i due monitor della mia postazione con tutte le tracce vuote. È come se tutte le volte hai la possibilità di ricominciare facendo tesoro degli errori già fatti, ma parto comunque sempre da un’idea e l’aspetto creativo è influenzato da quello tecnico perché dopo un giro di accordi o una base ritmica, l’idea iniziale muta, cambia forma. A volte ci si blocca e non si vedono vie d’uscita, non ti piace nulla, allora mi fermo, faccio decantare, passo ad altro e quando ci ritorno sopra in 2 minuti supero l’impasse. Per me anche l’aspetto musicale è molto importante, non mi accontento di un pad ritmico e un tappeto; a volte articolo anche troppo, ma infine scremo molto, tolgo fino all’essenziale. Le mie sonorità ad oggi sono volutamente quelle di una band che possa suonare su un palco, per cui elimino tutti i sofismi dei batteristi con 4 gambe e tre braccia, fino ad arrivare a una demo da portare in studio per il mix e mastering, dove registro nuovamente le voci. Ci sono tanti step consequenziali, ma ognuno diverso dall’altro, come tanti mattoncini di un Lego. Io non ho una band, per cui tutti gli strumenti li devo pensare e scrivere da solo, ma quando parte la base scatta la magia.


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