Regista di Fiore e, soprattutto, dell’acclamato La paranza dei bambini, tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano, Claudio Giovannesi dirige Hey Joe, ambientato in due periodi temporali: il 1944 e il 1971.

James Franco veste i panni di Dean Berry, veterano di guerra che vive nel New Jersey. Nel 1971 riceve una lettera che gli riferisce della scomparsa della ragazza che aveva amato al tempo della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1944 il giovane Dean, per l’occasione impersonato da Gabriel Riley Hill Antunes, era un militare di stanza a Napoli, città in cui aveva incontrato Lucia, portata in scena da Giada Savi.

La missiva, arrivata fuori tempo massimo, reca una data, 1958, e riporta che dalla loro relazione era nato Enzo, all’epoca bambino di dodici anni, il quale voleva conoscere suo padre. Dean non ha un lavoro, è divorziato e non passa gli alimenti a sua moglie, che tramite il suo avvocato minaccia di toglierli la casa. Dopo qualche incertezza, decide di recarsi in Italia, alla volta del capoluogo campano in cerca del figlio, cui presta il volto Francesco Di Napoli, che nel 1971 ha venticinque anni.

Il film ha una vena poetica racchiusa negli sguardi di James Franco. I vicoli della Napoli degli anni Settanta sono intrisi di un’atmosfera che la fotografia di Daniele Ciprì esalta in modo magistrale, sia per le sequenze in esterni che in quelle in interni. In particolar modo, le suggestioni che si respirano nel night club in cui Dean incontra Angela/Bambi alias Giulia Ercolini , una giovane che si prostituisce e che lo aiuterà a trovare suo figlio, sono assolute. Il fumo delle sigarette si addensa nel rosso delle luci del locale, ove ogni cosa prende il colore della passione, con una fotografia magnetica che si lascia ammirare in un flusso ipnotico e carnale.

“Hey Joe” era il richiamo in codice delle prostitute, che in tempo di guerra adescavano in strada i soldati americani. Il commento musicale, firmato da Andrea Moscianese insieme al regista, suggella i momenti più intensi del film, facendosi notare per discrezione e armonia, ma si ha la sensazione che sia come un narratore aggiunto. E ben si sposa con le note della voce del protagonista, che suadenti si alternano tra l’inglese e l’italiano.

Il rifiuto di Enzo verso un padre assente e improvvisamente ritrovato è credibile e trasmette quella rabbiosa e autentica reazione di un figlio abbandonato, che trova lo zenit nell’interpretazione di Francesco Di Napoli. Il giovane per sopravvivere si è dato al malaffare, dopo essere stato adottato dal boss malavitoso Don Vittorio, incarnato da Aniello Arena. Enzo vive però un conflitto interiore, in bilico tra il richiamo del sangue, il sogno americano e il legame indissolubile con il suo padrino.

Le inquadrature del Golfo di Napoli, insieme al profilo di James Franco , sono poesia che si staglia in un tramonto partenopeo tra melodramma e noir. Degna di nota la sequenza del motoscafo guidato nella notte col mare in tempesta da Dean, coinvolto in un contrabbando di sigarette.

Hey Joe è la catabasi di un individuo che affronta i rischi e le sfide, addentrandosi nel dedalo del malaffare per salvare Enzo. Accoglie la consapevolezza di essere diventato improvvisamente padre di un figlio già grande. Il film di Claudio Giovannesi ci racconta di un uomo che vorrebbe aiutare tutte le persone che hanno bisogno di essere salvate e che incontra durante la sua permanenza a Napoli. Dean vuole  riscattarsi, e, nell’insieme, compresa anche la nuova consapevolezza di sé, il racconto assume i connotati de Il viaggio dell’eroe. Ha combattuto nella Seconda Guerra Mondiale, in seguito in Corea e per finire in Vietnam. Forse ha ucciso molte persone, ma glissa nel raccontarsi, mentre sono gli occhi e il suo volto segnato a far immaginare le cose che ha vissuto.

Altro pregio del lungometraggio è la sceneggiatura, che presenta dialoghi asciutti, mai prolissi né banali, ed è opera del regista stesso, insieme a Maurizio Braucci e Massimo Gaudioso.

La forza di Hey Joe sta nel saper narrare una storia per immagini, in cui scenografie e costumi, curati rispettivamente da Daniele Frabetti e Olivia Bellini, danno quel tocco in più che si aggiunge all’esperienza visiva, che come in una favola ci porta in un altro tempo e in un altro luogo.


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