L’uomo è davvero andato sulla Luna? La controversa questione che infiamma i social (e non solo) da qualche anno, viene risolta con intelligenza e ironia nella commedia romantica Fly me to the Moon – Le due facce della Luna di Greg Berlanti. Classe 1972, segno zodiacale Gemelli, arguto e brillante come i nati nel segno, il regista sfiora le teorie complottiste dandone una spiegazione che -lungi dal prendere una vera posizione – spingono piuttosto a riflettere, lasciando in nuce possibilità intrinseche apertamente negate. La sceneggiatura di Rose Gilroy si basa sulla storia di Bill Kirstein e Keenan Flynn ed è un intreccio perfetto tra commedia romantica ed epopea lunare, che Berlanti impreziosisce con un tocco registico a tratti irridente e beffardo, mostrando la realtà come dovrebbe essere.

Siamo nel mitico 1969, anno dell’allunaggio. La Nasa, colpita duramente dalla tragedia dell’Apollo 1 avvenuta due anni prima, fatica a trovare consensi, appoggi e denaro per la missione dell’Apollo 11. Un misterioso agente federale, Moe Berkus (un eccezionale Woody Harrelson), assume la ragazza prodigio del marketing newyorkese Kelly Jones (Scarlett Johansson) per rilanciare l’immagine pubblica della Nasa in favore dell’agognata Missione Luna dell’Apollo 11. Le iniziali scaramucce con il rigido direttore del programma di lancio Cole Davis (Channing Tatum) si trasformano in una improbabile alleanza per il compimento della Missione Luna e – ovviamente – in una storia romantica che porta entrambi a migliorare se stessi tramite il perdono e la redenzione personale e reciproca.

Fly me to the Moon – Le due facce della Luna mostra anche quanto già negli anni Sessanta il marketing e il saper vendere un prodotto fossero più importanti del prodotto stesso: al fine di poter ricevere appoggio politico e sovvenzioni, nonché sponsorizzazioni per il lancio dell’Apollo 11, la spregiudicata Kelly si dimostra una pubblicitaria perfetta; riuscendo finanche a convincere il restio Cole a partecipare a questa opera di restyling della Nasa – interna (a partire dal proprio ufficio-sgabuzzino) ed esterna (per renderla appetibile al mondo intero). La politica, come spesso accade, non ha però scrupoli, e così, temendo un insuccesso della missione, Moe costringe la Jones a creare un set alternativo dove girare un finto allunaggio da mandare in onda in extremis in caso di fallimento dell’Apollo 11.

I richiami alla realtà sono molteplici: il regista che Kelly chiama a girare il film non è Kubrick ma – su sua stessa affermazione – avrebbe potuto esserlo; e quello che nelle intenzioni iniziali doveva essere una sorta di “salvagente” per dare luce all’America nella corsa contro l’Unione sovietica in caso di insuccesso diventa – di fatto – la realtà alternativa da trasmettere in ogni caso. Il risveglio di coscienza di Kelly la porta ad una scelta per lei insolita, e, insieme a Cole, cercano di mandare a monte i piani della Cia, trasmettendo la vera missione. Qui realtà e finzione si mescolano; mentre Neil Armstrong e Buzz Aldrin scendono sulla Luna, il mondo assiste in diretta a quello che forse è il vero allunaggio o forse no… finchè il destino (anzi, il gatto) ci mette lo zampino, salvando, come si suol dire, “capra e cavoli”.


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