Nel 2022 vede la luce il primo lungometraggio del regista di origini friulane Paolo Del Fiol, squisitamente horror ed infarcito di omaggi al cinema di genere, non solo Made in Italy. Devil Times Two, seguito dall’evocativo sottotitolo Quando le Tenebre escono dal Bosco, è una dichiarazione d’amore del cineasta a quel cinema con cui è cresciuto, ai suoi amori cinematografici che vanno da Renato Polselli e Dario Argento ad Andrea Marfori, passando per quella cultura giapponese che tanto ama e strizzando l’occhio anche ai grandi dell’horror americano quali Barker e Raimi. La pellicola viene presentata come una sorta di film maledetto degli anni Settanta, uscito solo una volta sull’emittente veneta Teleleguna alle 3.30 di notte dell’8 dicembre 1983 e mai più ritrovato, se non in un’unica copia riemersa per caso registrata dalla tv stessa su una vecchia VHS. Per rendere il tutto più realistico Del Fiol ha adattato il film in formato 4:3, quello che si usava per il tradizionale schermo quadrato dell’epoca, dividendolo tra primo e secondo tempo e infarcendolo di stacchetti pubblicitari girati all’uopo dallo stesso regista. Il grande lavoro fatto da Paolo fa sì che Devil Times Two sia un unicum nell’attuale panorama di genere italiano, sia che il film incontri o meno il gusto personale, e non si può non riconoscergli questo merito come indubbio motivo di vanto.
Due conturbanti giovani, un’asiatica ed una prosperosa bionda, si aggirano nei boschi intorno ad un antico convento, mietendo vittime al loro passaggio. La superiora del convento, Madre Dolores, si rivolgerà quindi ad una coppia di esorcisti, padre Taro e il suo allievo padre Bennet, per cercare di capire cosa ci sia dietro a quella sanguinosa e spietata scia di omicidi, in quanto la descrizione delle due giovani parrebbe ricordare due feroci assassine, Jasmine ed Umeko, messe a morte diversi anni prima nella zona.
In un crescendo di sorprese e rivelazioni continue, Del Fiol ci porta in un mondo infernale e malsano, che profuma di zolfo come non mai, dove anche la luce del sole e le seducenti forme di una bellissima donna possono rappresentare morte e dannazione. Non ci lesina il sangue, lo splatter, il nudo, l’erotismo, proprio come colui a cui si ispira, il regista romano Renato Polselli, direttore di cult quali L’Amante del Vampiro (1960), Il Mostro dell’Opera (1964), ma soprattutto il folle e visionario Riti, Magie Nere e Segrete Orge nel Trecento (1973), che è indubbiamente la maggior fonte di ispirazione per il nostro regista indipendente. Sulla bella colonna sonora del compositore William Novati si innesteranno immagini seducenti e dannatamente infernali, orge di sangue e sesso e addirittura i fotogrammi di un sadico snuff movie! In barba al basso budget a disposizione, Del Fiol è un vero e proprio torrente in piena, un uragano di idee che lo portano a realizzare un film di oltre due ore, che proporrà poi anche in un formato ridotto di 90 minuti.
Tra le tante citazioni e strizzatine d’occhio che il regista fa a tutto lo scibile cinematografico italiano e straniero non se ne possono non citare alcune davvero macroscopiche, a partire dal fallo a forma di mano deforme di uno dei demoni che ricorda l’artiglio mostruoso del cult di Andrea Marfori Il Bosco 1 (1988), per poi passare ai classici come la vittima che spunta dalle lenzuola come l’Eleonora Giorgi dell’Inferno argentiano (1980), le porte dell’inferno poste in un luogo sacro che fanno pensare a La Chiesa di Michele Soavi (1989), la scatoletta inquietante come quella di Hellraiser di Clive Barker (1987) o i mostri dello stesso Barker che popolano un’altra sua pellicola, Cabal (1990), superbamente realizzati dall’artista ligure Fabio Taddi, creatore artigianale di costumi e maschere in stoffa, pelle, lattice e gesso, che prende parte al film anche come attore dando letteralmente vita col suo fisico imponente ad una delle sue mostruose creature. E poi c’è il Giappone, tanto amato da Del Fiol, che emerge non solo dalla presenza nel cast di sua moglie, l’attrice ed effettista Reiko Nagoshi, curatrice del make-up del film, ma anche dalla citazione di opere classiche come il manga del 1972 Devilman, che in giapponese si intitola Double Devil ed ha lo stesso design che il regista usa per i titoli di testa del suo film, o la serie televisiva Tokusou Sentai Dekaranger (in italiano Squadra Investigativa Speciale), dal quale mutua il nome di due personaggi femminili principali, Jasmine ed Umeko, nella nostra pellicola le due pericolose protagoniste, appunto.
Se nella parte di Umeko troviamo la già citata Reiko Nagoshi, in quella di Jasmine troviamo la bionda Erika Saccà, che ama definirsi più una sportiva che un’attrice, ma che per questa sua interpretazione ha vinto il premio come miglior attrice al Tagore International Film Festival 2023 ed ha ottenuto la nomination al Vespertilio Awards di Roma dello stesso anno nella medesima categoria. Al fianco delle due inquietanti e sensualissime protagoniste alcuni degli attori che Del Fiol ha riconfermato per il suo secondo lungometraggio, attualmente in fase di postproduzione, A Meltykiss Lost in the Abyss, a conferma del loro buon lavoro in questa prima pellicola. Nel ruolo dell’enigmatica superiora del convento attorno al quale si svolgono i fatti troviamo l’attrice e ballerina venezuelana Amira Lucrezia Lamour, che in ambito horror ha lavorato anche con un altro seguace dell’estremo, Davide Pesca, ed ha partecipato persino ad alcuni progetti del comico abruzzese Maccio Capatonda. Al suo fianco, paladino del bene ma con spiccate doti sensoriali, troviamo Padre Chuck Bennet, interpretato dall’affascinante Paolo Salvadeo, che ricorda sotto certi aspetti il personaggio di Padre Karras de L’Esorcista di William Friedkin (1973), film che viene omaggiato anche nel trucco finale di uno dei protagonisti principali, di cui non dico nulla per evitare spoiler. Una piccola ma significativa parte è interpretata poi dalla bella attrice e ballerina Martina Vuotti, la cui schiena fa bella mostra di sé sulla locandina di questo Devil Times Two. Un piccolo cammeo è interpretato dallo stesso regista, che si fa torturare a sangue in quello che parrebbe un atroce snuff movie.
I ritornanti, che tornano dal mondo dei morti per continuare a spargere sangue e terrore sulla terra e preparare il terreno alla venuta dell’Anticristo, le porte dell’inferno, che si troverebbero proprio nella zona del vecchio convento, di cui Madre Dolores dice di non conoscere l’esatta ubicazione pur confermandone la vicinanza al luogo sacro, i poteri di alcuni abitanti del luogo, che permetterebbero loro di vedere i demoni reincarnati: questi sono gli affascinanti elementi sui quali gira il fulcro dell’intera vicenda. E se il tema del team di ecclesiastici che lotta contro i demoni per ricacciarli all’inferno dal quale sono fuggiti non è certo originale, tuttavia, come già accennato, non mi risulta che in Italia sia mai stata fatta, per lo meno nel post Duemila, un’operazione come quella compiuta da Del Fiol in questa sua ambiziosa opera prima, che infatti sta portando a casa una bella collezione di riconoscimenti, tra cui cito i premi come Miglior Film a festival prestigiosi come il Tagore International Film Festival, il Knight of the Reel, la Filmzen International Film Competition, il World Film Carnival di Singapore ed il Calcutta International Cult Film Festival.
I colpi di scena sono garantiti, il gore è tanto e ben fatto, tenendo soprattutto conto del piccolo budget utilizzato per realizzare tale pellicola d’esordio, interamente prodotta dalla casa di produzione del regista, la Himechan Movie Production. Fin dall’inizio Del Fiol ha l’intuizione giusta, riuscire a catturare l’attenzione e la curiosità dello spettatore presentando il suo film come qualcosa di insolito, di accattivante, definito dalla voce narrante come il Santo Graal del collezionismo, in quanto appartenente a quella decina di pellicole italiane completamente perdute nell’oblio. Del Fiol assume quindi, in qualche modo, le vesti dell’archeologo che riesuma da qualche vecchio cassetto di chissà dove una VHS impolverata e dimenticata da tutti, contenente questa piccola produzione italo/giapponese di fine anni Settanta, di cui nessuno sembra sapere assolutamente più nulla. Espediente interessante, che richiama alla mente quello di Antrum, film canadese del 2018 di David Amito e Michael Laicini, che si pone come un mockumentary che racconterebbe la storia di un film maledetto uscito proprio alla fine degli anni Settanta che però, a differenza del nostro, pare avere effetti deleteri su coloro che lo guardano, un po’ alla The Ring per intendersi.
È quindi assai bello farsi trasportare dalle immagini di Devil Times Two indietro nel tempo, all’epoca in cui se volevi vedere un film dovevi correre davanti alla tv all’orario giusto, o al massimo registrarlo, sperando che iniziasse in tempo e non restasse proprio il finale fuori dalla VHS! Era quella l’epoca dei b-movie più belli, e per noi, allora piccoli telespettatori timorosi ma appassionati, anche più spaventosi, quelle piccole produzioni piene di difetti che noi non notavamo, e dalle quali traevamo solo l’adrenalina che ci restava dentro e ci ha accompagnato nel tempo, per farci diventare gli estimatori maturi di film horror che siamo oggi. Ed è con occhi maturi ma colmi di romanticismo per un passato che ormai non c’è più che do questo mio giudizio di cuore su quest’opera che trabocca devozione per tutto il cinema di genere che ho amato e che amo ancora oggi, e che non posso quindi che invitarvi a guardare, bypassando quelli che sono gli evidenti limiti di ogni produzione low budget, e godendo invece di ogni singola trovata originale, delle atmosfere d’epoca e delle belle immagini patinate old style che vi guideranno verso il polselliano finale con diavolesse e riti satanici che sembrano quasi un quadro di Goya contaminato con l’esoterismo di Anton LaVey. Davanti a un coacervo di idee così ben assemblate insieme io non posso che dirmi nuovamente ed orgogliosamente soddisfatta delle nuove leve italiane del nostro bel cinema di genere.
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