Si intitola “Strategia Esoterica” il nuovo disco di Federico De Caroli in arte DECA. Come sempre ragioniamo sul concetto di bellezza che qui trova un punto di rottura nel concetto estetico di cui abbiamo abitudine. Il suono di questo disco è un mantello raffinato di sensazioni e di emotività, oscure visioni e buio intriso di rinascita. Siamo dentro tematiche che non siamo capaci di approfondire con la cultura e lo spessore che meritano e per questo vi invitiamo a non archiviare tutto con la solita superficialità ma a darvi l’occasione di scendere oltre durante tutto l’ascolto che c’è. Noi l’abbiamo fatto, parlando di quello che sappiamo…

Bellezza. È da qui che noi partiamo sempre. Cos’è per DECA la bellezza? Cos’è per davvero?
Bellezza mi rimanda immediatamente al concetto di estetica. Che al di là della comune accezione è una parte rilevante della filosofia. La parola estetica ha antiche radici elleniche, significa sensazione ovvero percepire attraverso la mediazione di sensi. Dunque non si tratta solo di un’esperienza visiva. Il bello si può percepire in un odore, in un gusto, in un’esperienza tattile. E in un suono, ovviamente. Se parliamo di esperienza dei sensi, va da sé che la bellezza è qualcosa di comunque individuale e prescinde in parte dai canoni e dalle mode, dalle tendenze sociali. Ogni tempo e ogni area culturale hanno avuto un certo metro nel valutare il bello, ma alla fine la bellezza vera ognuno la vive intimamente. Io non faccio eccezione. Il bello è una vibrazione che mi sorprende e mi pervade, quindi mi emoziona. Sorprende perché molto spesso scaturisce da qualcosa di inatteso, di non canonizzato per l’appunto.

Dove e come trovarla? Ho come l’impressione che questo mantecato di suoni eterei ed inclusivi, siano alla ricerca della “non-bellezza”, cioè dei lati oscuri dell’io… o sbaglio?
Se la bellezza è un’esperienza intima individuale va da sé che anche l’oscurità e l’arcano possano rappresentare una vibrazione del bello. Qui più che i lati oscuri dell’Io si manifestano molte energie solitamente considerate seduttive, ma pericolose. Le atmosfere a tratti inquietanti e misteriose di Strategia Esoterica (e anche di altri miei lavori) su molte persone esercitano una fascinazione che va oltre le classiche dicotomie luce-tenebra, serenità-angoscia e via dicendo. Io cerco di affermare che inquietudine e turbamento non vanno necessariamente identificate con uno stato d’animo negativo. Dunque, non c’è assolutamente una ricerca forzata di non-bellezza. La ricerca in questo disco verte semmai su temi di una certa tradizione culturale e sulla sperimentazione di nuove sonorità. Il risultato è uno scenario musicale certo non idoneo per una scampagnata, ma capace però di coinvolgere e di offrire un’esperienza pervadente non comune. Anche lo scettico alla fine può trovare quella bellezza inattesa di cui dicevo.

Il buio per te è anche bellezza? Come a dire: l’esistenza in quanto tale porta bellezza…?
Questa domanda sembra indicare che l’esistenza e il buio sono concetti complementari. Ha un che di nichilista, quanto meno di fatalista pensare che il buio caratterizzi l’esistenza degli individui. E forse è vero, perché dal buio veniamo e nel buio torniamo. Ma torno a ripetere: l’oscurità non deve avere una valenza preconcetta di negatività. Il contraltare della luce è la condizione necessaria a distinguere ciò che è buio da ciò che è luminoso. Senza dimenticare che il buio è una condizione in cui è solo il senso della vista a non percepire. Il che fa pensare che ci siamo fatti un’idea davvero errata delle tenebre. Nell’oscurità noi continuamo a percepire odori, sapori, suoni, possiamo avere un contatto con le cose e le persone. L’assenza di visuale non implica che siamo completamente perduti, impariamo a orientarci in un modo diverso. Questo ovviamente non solo in senso stretto, ma anche metaforico. La tenebra non significa la fine di ogni contatto col mondo.

Al suono che responsabilità hai delegato? Quella di narrare o quella di rendere visibile?

Diciamo entrambe. Specialmente nei miei concept-album c’è una traccia narrativa che si conclude quasi sempre nell’ascolto completo e continuativo delle tracce, come fossero i capitoli di una storia o di un viaggio. Ma c’è anche l’evocazione di percezioni sensibili che danno un forte impulso all’immaginazione e suggestionano l’ascoltatore fino alla visione di autentici scenari. Il che ha una dinamica simile all’esperienza onirica. E nell’onirico visione e narrazione si fondono, molto spesso, benché in modo trasversale, non lineare. I suoni nei miei dischi sono al 99% generati da me, sono suoni originali elaborati uno ad uno perché abbiano una quintessenza e una forza capace di smuovere qualcosa in chi ascolta. Che sia un input emotivo, o mnemonico o semplicemente descrittivo, la mia musica tende a toccare corde profonde, talora sconosciute. E non importa quale tipo di gusti musicali abbia l’ascoltatore o quanto sia preparato su un certo genere di sonorità: la dinamica dell’induzione onirica funziona a prescindere da questo.

E quando hai sentito che questo viaggio sonoro, parlando di ogni singola composizione, fosse giunto a completezza? Oppure, come sento io, è la completezza l’unica cosa che doveva restar fuori dalla composizione?
Trattandosi di un viaggio basato su un tema specifico, ogni brano che ne fa parte – come dicevo poco fa – è una tappa indispensabile al compimento. Un compimento sensato, coeso, che restituisca all’ascoltatore la possibilità di avere uno scenario completo delle idee che lo hanno ispirato. Certo, ogni traccia può anche essere fruita singolarmente. Cosa prevedibile dal momento che oggi lo streaming frammenta non solo un disco, ma anche ciascun pezzo, purtroppo. Questo è uno dei fattori deteriori della distribuzione musicale digitale. Una volta mettevamo sul giradischi il vinile e ci immergevamo con calma nell’ascolto. Era un rituale che rendeva giustizia al lavoro dei musicisti, dopotutto. Ora siamo bombardati da migliaia di singole tracce di cui spesso ignoriamo il contesto autoriale; e a volte nemmeno le ascoltiamo dall’inizio alla fine. Ecco allora che la completezza arriva quando ci si concedono il tempo e la concentrazione per fruire di un’opera nel suo insieme. Cogliendo e assimilando ogni sfumatura e ogni energia che la musica ci offre.


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