Boom.bo racconta Tagadà

Dopo il buon riscontro di “Come una Tennent’s aperta in frigo”, BOOM.BO è pronto a sorprendere ancora con il suo nuovo singolo, “Tagadà”. Disponibile su tutte le piattaforme digitali a partire dal 30 agosto 2024.

“Tagadà” è una canzone che tratta di un doloroso addio in amore, catturando la fotografia dell’attimo esatto in cui questo si concretizza.

Per l’occasione abbiamo scambiato quattro chiacchiere con l’artista!

Boom.bo intervista

Ciao, è uscito da poco il singolo “Tagadà”. Come è nato questo brano?

“Tagadà” è nato esattamente la mattina dopo una notte in cui è finita una relazione per me molto importante. È un addio, ma è come se avessi voluto fermare il tempo nel momento esatto in cui tutto cambia. La notte, i lampioni, le stelle… mi piaceva l’idea di catturare quelle immagini e congelarle in musica. A volte la realtà diventa più sopportabile se la trasformi in una sequenza cinematografica. È stato un processo naturale, quasi come se il brano si scrivesse da solo mentre osservavo quella scena.

Nel brano descrivi immagini evocative come “serpenti di lampioni” e “chilometri di stelle”. Quanto è importante per te l’elemento visivo nella scrittura delle tue canzoni?

Per me l’elemento visivo è fondamentale. Quando scrivo, cerco sempre di dipingere delle immagini, quasi fossero fotogrammi di un film. Non riesco a immaginare una canzone senza un suo corrispettivo visivo. È come se le parole fossero la cornice, mentre le immagini sono il cuore di ciò che voglio raccontare. I “serpenti di lampioni” e i “chilometri di stelle” sono istantanee di un’emozione, modi per tradurre qualcosa di astratto in qualcosa di concreto, tangibile.

Hai collaborato nuovamente con Il Cile, un autore molto apprezzato. Come è nata e come si è sviluppata questa collaborazione?

Con Il Cile abbiamo un’intesa che va oltre la musica. Ci siamo conosciuti in studio anni fa, ma è stato come se ci conoscessimo da sempre. Lui ha una capacità unica di tradurre le emozioni in parole, e io ho sempre apprezzato il suo approccio diretto e crudo. Per “Tagadà” non c’è stato bisogno di grandi spiegazioni: ci siamo seduti, abbiamo messo su una base e le parole sono venute fuori spontaneamente. È uno di quei collaboratori che ti capisce al volo.

Il tuo stile ha attraversato diverse evoluzioni, dalla vaporwave all’italodisco fino ad arrivare alla retrowave. Qual è il filo conduttore che lega queste trasformazioni?

Penso che il filo conduttore sia la nostalgia, ma non una nostalgia passiva. È come guardare al passato con occhi nuovi, cercando di portare quei suoni e quelle atmosfere nel presente, senza essere troppo legati a un’epoca specifica. Ho sempre amato esplorare generi diversi, perché ogni fase della mia vita ha avuto un suo sound, e la musica è il modo in cui cerco di rielaborare quei momenti. Che sia vaporwave, italodisco o retrowave, per me l’importante è che ci sia autenticità e una certa coerenza emotiva.

Infine, con l’uscita di “Canzoni al Piatto” in autunno, possiamo aspettarci un tour o esibizioni dal vivo per promuovere il disco?

Assolutamente sì. Stiamo lavorando per portare “Canzoni al Piatto” dal vivo con una formazione che mi entusiasma tantissimo. Sarà un power trio con l’ausilio delle sequenze prodotte da me in studio, e suonerò insieme a musicisti che conosco e stimo da anni: Fabrizio Locicero alla batteria e Fabio Accurso al basso. La loro energia e il loro talento daranno una dimensione unica a questi brani. Sarà un’esperienza molto spontanea e genuina, esattamente come piace a me.

Tagadà” segna un passo verso l’uscita del tuo nuovo album “Canzoni al Piatto”. Puoi darci qualche anticipazione su cosa aspettarci da questo progetto?

“Canzoni al Piatto” è un progetto molto personale. Ogni brano è come un piccolo racconto, una polaroid di un’emozione o di un momento preciso. Ci sarà tanto funk, elettronica, ma anche quella vena malinconica che mi porto dietro da sempre. È un album in cui esploro i contrasti tra leggerezza e profondità, proprio come in “Tagadà”. Non sarà un disco lineare, ma piuttosto un viaggio tra diversi suoni e atmosfere.

Hai iniziato la tua carriera come bassista e ora sei un produttore affermato. Quanto ti manca l’aspetto performativo della musica rispetto al lavoro in studio?

Il basso è il mio primo amore, e in un certo senso mi manca sempre. Suonare dal vivo ha un’energia che il lavoro in studio non può replicare. Però, negli ultimi tempi, con la nuova formazione live, ho deciso di passare alla chitarra. È stata una sfida interessante e mi ha dato nuove prospettive, ma il legame con il basso rimane forte. La produzione, invece, mi permette di creare qualcosa di più complesso e stratificato. Entrambe le dimensioni, studio e live, si completano a vicenda, e ogni volta che torno sul palco, ritrovo una parte essenziale di me.


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