Beatrice Campagna dimostra sensibilità ed emancipazione con questo cortometraggio dal titolo “Coming Out” anche vincitore del “Premio del pubblico Sabato ” alla VI Edizione dell’Aprilia Film Festival di Roma. E lo fa affrontando processi di vita di quotidianità attorno a temi sensibili che ancora oggi hanno forza di dividere piazze e opinioni. Parliamo di bellezza uscendo fuori dai canoni di “presunta normalità”. Siamo ancora lontani dal futuro per molti aspetti…

“L’omosessualità è comoda dentro un film perché poi si esce dalle sale e si torna alla “normalità”. Almeno dentro un film ci fa sentire tutti aperti mentalmente… come dentro le manifestazioni. Poi nella vita di ogni giorno…”. Sai che penso seriamente esista anche questa condizione nella società che viviamo oggi?
Non saprei, è un concetto, questo che hai espresso, molto lontano da me e anche dalla cerchia di persone che tendo a frequentare (in ambiti, quartieri e città anche molto diversi), per cui non posso dire di avere questa stessa impressione. Ma quello che dici sicuramente, da qualche parte, esiste ancora, c’è una percentuale di persone che vive la cosa in questo modo.

Non trovi che la discriminazione parta proprio da chi si definisce e si batte perché venga riconosciuta la propria categoria? Non trovi sia una contraddizione?
Dipende di cosa parliamo. Ad esempio due donne o due uomini che vogliono sposarsi o avere un figlio, hanno necessariamente bisogno di un riconoscimento esterno. A livello politico e legislativo proprio, non solo sociale e ideologico. Penso che semplicemente man mano che verranno normalizzate determinate cose, la comunità LGBTQ+ avrà sempre meno bisogno di alzare la mano e chiedere di essere riconosciuta e definita.

Se cerchi su google il COIMNG OUT lo trovi definito BRA GAY. Non pensi che questo sia discriminante? Io lo trovo fortemente discriminante… e visto che lo leggo pubblicato, mi viene da pensare che sia corretto per i proprietari. Insomma… ancora una chiave di lettura che trovo contraddittoria.
Io frequento il locale da diversi anni, e sono etero, così come altri miei amici. Mi sono, ci siamo, sempre sentiti meravigliosamente accolti. Non c’è a mio avviso alcun intento “discriminatorio” nel claim del locale, c’è solo la volontà di ribadire per chi, in particolare, è nata l’idea di crearlo. Perché quando è successo, c’era evidentemente un vuoto da quel punto di vista, ed era necessario (e rivoluzionario) specificarlo. E quindi, allora come oggi, è un modo di dire: “Qui non bisogna avere paura di niente e di nessuno. Questa è la casa di tutti”.

Che responsabilità affidi a questo cortometraggio?
Quello di avvicinare, chiunque lo vedrà, ai personaggi, generare empatia per una storia universale, raccontata però attraverso un luogo e una realtà che molte persone magari non conoscono, o conoscono poco.

Penserai ad uno sviluppo del tema sulla lunga distanza?
Sì, mi piacerebbe farlo diventare un lungometraggio o una miniserie, perché i temi da trattare sono diversi e importanti e i personaggi tantissimi. Ci penso da diverso tempo.


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