Sembra un tornare indietro pur andando avanti. L’indie e la canzone d’autore, la distorsione e l’elettronica, il suono suonato e quello di algoritmi scelti. Angelo Iannelli è sempre a due passi dal confine, come una sfida ma anche come un bisogno per guardare tutto. “Vicini margini” sembra potente nella sua semplicità. Di sicuro non è un disco per far scivolare il tempo…
Cominciamo sempre parlando di bellezza. Per Angelo Iannelli cos’è e dove possiamo trovarla?
Potrei dirti nelle piccole cose, nella natura, nel profumo dei fiori, negli affetti, ma non sarei me stesso e allora ti dico che io la trovo principalmente nell’arte e nella letteratura, senza nulla togliere al resto.
Che poi ad un cantautore chiedo sempre del compromesso che c’è tra la bellezza come forma e come contenuto. Possono esistere le due cose oppure vige il noto adagio che vuole una cosa o l’altra? Come a dire: il bello per tutti è privo di contenuto…
Una domanda interessantissima, poiché la filosofia dell’arte, l’Estetica, è stata sempre la mia passione, su cui addirittura ho scritto la mia seconda tesi di Laurea a Roma Tre, subito dopo quella in pedagogia attorica. Proprio perché è materia mia sarebbe riduttivo darti una risposta in due righe su un campo di ricerca così vasto. Ma visto che la tua osservazione mi piace molto posso dirti che ho scritto un testo teatrale sull’argomento, ancora inedito, il cui titolo provvisorio è “Dialoghi tra A1 e A2” e che forse risponderà a questa tua domanda: per ora posso dire solo che parla proprio di due personaggi che discutono su cosa sia più importante tra forma e contenuto per identificare come “bella” un’opera d’arte.
E dico Arte in generale, appunto, non solo musica. Come ho detto tante volte mi piace dividermi tra varie arti, non sto cercando quella giusta, come si suol dire, mi piace continuare così, dividendomi tra libri, film e canzoni, perché ogni attività artistica rispecchia una parte di me. Anche perché appartengono a varie arti gli artisti e gli scrittori che hanno lasciato un segno indelebile dentro di me: per la musica mi viene in mente su tutti De Gregori, ma ne dovrei nominare altri cento; per la letteratura, tra gli italiani mi vengono in mente Leopardi, Calvino, Tabucchi e Maggiani, e poi tanta letteratura russa e americana, ma anche percorsi molto personali come quelli di Saramago, Ishiguro, Jon Fosse e Yu Hua; per il teatro, così al volo, mi viene in mente Čechov; per il cinema Godard, Altman, i Coen, Scorsese, Lynch, Iñárritu, Lanthimos e Alexander Payne, la scuola coreana (penso a Park Chan-wook, Bong Joon-ho, Lee Chang-dong, Kim Ki-duk e Yeon Sang-ho), i giapponesi Kore’eda e Fukasaku. Insomma sono davvero centinaia gli artisti che hanno ispirato la mia arte. Ne dimentico qualcuno, ma mi perdoneranno e forse si ritroveranno nelle mie opere.
Ho come l’impressione che in questo disco la bellezza sia dentro la semplicità. Non penso tu sia in ricerca di qualche grandiosa filosofia di vita… anzi penso proprio tu ne fugga. La vita è cosa semplice?
Sono felice che tu mi dica questo: la ricerca della (bella) semplicità artistica per me ha sempre rappresentato un sogno da raggiungere che per tanto tempo è stato molto lontano dalle mie capacità di scrittura. La mia penna è cresciuta con tanta filosofia e letteratura, addirittura ho scritto saggi su argomenti filosofici, quindi all’inizio è stato difficile dividermi tra le caratteristiche più emotive della musica e un’attività certamente più cerebrale come quella saggistica. Forse su questo mi ha aiutato la scrittura di romanzi e di sceneggiature, che magari ha fatto da ponte tra i due mondi.
E parlando di semplicità mi viene in mente Godard, a cui ho dedicato la mia “Elettronica” che apre il disco. La mia protagonista non sceglie tra i concetti filosofici di Dolore e Nulla, nel dubbio sceglie “semplicemente” se stessa, e chissà tutta questa semplicità a quali conseguenze positive o negative la porterà. Aggiungo che il nulla (alle spalle, come dicevo in un mio vecchio cortometraggio), il niente rappresenta la nostra morte interiore, ci rende inumani, e quello che succede attorno a noi ci conferma ogni giorno questo; il dolore ci umanizza, certamente, ma come dice Michel in “Fino all’ultimo respiro” può anche essere un’idiozia se utilizzato in modo non proficuo.
Anche il video del singolo “DAG” in fondo cerca e celebra semplicità. Un modo “lo-fi” di realizzarlo e via… serve poco per fare il bello? Che ragione ha questa scelta?
Come puoi immaginare dietro quel “lo-fi” c’è stato tanto lavoro da parte mia in fase di regia e montaggio, affinché il video risultasse tecnicamente impeccabile e carico di significati interiori, ma allo stesso tempo per nulla patinato, perché la canzone è proprio una sorta di inno contro le affettate patinature melodrammatiche del nostro tempo.
E dal vivo? Tutta questa semplicità che percepisco, sempre se sono sulla retta via, come la mette in scena?
Su questo voglio ragionarci ancora, sempre sospeso sui margini.
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