“Non è morto ciò che può attendere in eterno, e col volgere di strani eoni anche la morte può morire”. Chi conosce questi famosi versi del poeta pazzo Abdul Alhazred, autore del Necronomicon, una delle più grandi creazioni letterarie dello scrittore Howard Phillips Lovecraft, sicuramente capirà un bel po’ di cose quando li sentirà sussurrati tra i denti dallo strano Pierre, uno dei personaggi del bellissimo horror di produzione franco-belga La Casa in Fondo al Lago (The Deep House), classe 2021. E già questo è un ingente punto a favore del film, che nella mania di Lovecraft per le inquietanti case infestate, abitate un tempo da personaggi dalla dubbia moralità, affonda le sue radici. Quando poi si scopre che i due registi della pellicola sono i francesi Alexandre Bustillo e Julien Maury, che hanno firmato quel capolavoro di tensione del 2007 che è À l’intérieur, ed anche uno degli svariati capitoli della fortunata saga di Faccia di Cuoio, inaugurata nel 1974 dall’epico Non Aprite quella Porta di Tobe Hooper, e per l’esattezza Leatherface – Il Massacro ha Inizio (2017), quando quindi si scopre che i registi sono loro, beh, già l’asticella delle attese sale. Nel mio caso, poi, ci metto dentro anche una passione per il cinema francese dell’orrore, e per i film con le riprese subacquee, ed il gioco è fatto. La Casa in Fondo al Lago mi è piaciuto tanto, ma proprio tanto, e non ne faccio segreto. Soprattutto la prima parte, quella che per molti potrebbe essere “lenta e noiosa”, per me è invece propedeutica a costruire così bene la tensione che quando i due ragazzi si immergono e un grosso pesce sbuca fuori all’improvviso dalla finestra di una vecchia casa sepolta da un invaso artificiale, ebbene quel maledetto pesce mi ha fatto fare un salto così soddisfacente come non facevo da tempo. Con mia somma gioia, visto che i film che riescono a farmi sobbalzare sono sempre di meno. Ma partiamo dal principio.
Tina e Ben sono una coppia di fidanzati che si diverte ad andare in giro ad esplorare e filmare edifici e località abbandonati e, perché no, anche stregati. A metà tra Urbex e Ghost Hunters, i due giovani hanno un canale YouTube dove pubblicano tutti i loro reportage, e soprattutto Ben è disposto a tutto pur di far aumentare i followers del programma e provare a guadagnare facendo ciò che ama di più. L’azione si apre con i due ragazzi in visita ad un antico sanatorio collocato a Vinnycja, Ucraina, dove si racconta che negli Anni Settanta un’infermiera avesse ucciso sette bambini, dandosi poi fuoco dopo l’orrido delitto. La leggenda, ovviamente, vuole che la crudele assassina vaghi ancora tra le stanze mezzo diroccate dell’edificio, ed i due giovani si divertono come matti a riprendere i segni del passaggio, nel luogo, di satanisti o sedicenti tali, come pentacoli, altri simboli correlati al culto del Diavolo, ed addirittura una grande scritta Hell (Inferno) che indica le viscere più interne di quell’enorme palazzo abbandonato. E poi, tutto finisce così, e si fa un bel balzo temporale di sette anni più avanti nel tempo. I due reporter fai da te sono in partenza per una località, a detta loro segretissima, nel Sud Est della Francia, dove un grande lago artificiale avrebbe sommerso completamente un antico paese, come il nostro suggestivo Curon in provincia di Bolzano. Ma quando arrivano al lago non trovano nessun caratteristico campanile che sporge dalle acque, bensì una moltitudine di turisti, bagnanti, famiglie, escursionisti. Delusi da quello che credevano essere un posto dimenticato da Dio, Ben e Tina si rassegnano così a passare una giornata da semplici villeggianti. Ma l’incontro con Pierre, un uomo della zona che si offre di accompagnarli a un’insenatura sconosciuta del lago, risveglierà in Ben l’idea del reportage, e Tina non può che accettare. Armati di bombole e tutto l’occorrente per un’immersione, i ragazzi seguiranno Pierre che per strada racconta loro come sotto quella parte di lago quasi totalmente inesplorata, si trovi ancora una casa allagata perfettamente conservata. Ed in effetti la casa c’è, e Ben e Tina la troveranno, ma si pentiranno amaramente di non aver deciso di passare quella giornata come una coppia di semplici turisti. Anche qui i simboli satanici abbondano, ma, a differenza del vecchio sanatorio ucraino, sembra che nella casa in fondo al lago il Male si sia annidato davvero, e non ne sia mai più uscito…
L’incontro con Pierre e la partenza dei due protagonisti per un luogo inesplorato e carico di funesti presagi mi ha ricordato quello di un horror del 2012 del regista Bradley Parker, Chernobyl Diaries – La Mutazione, che vedeva tre ragazzi americani i quali, in visita a un amico a Kiev, decidono, su consiglio proprio di lui, di fare una gita a Pryp”jat’, la città fantasma divenuta famosa in seguito all’esplosione della centrale nucleare di Černóbylʹ nel 1986. Anch’essi si pentiranno ben presto di non aver fatto quello che fanno di solito i ragazzi della loro età, lasciando in pace ciò che è morto, o che sembra tale, e di non essere subito ripartiti per Mosca, ultima tappa del loro viaggio prima del rientro in USA. L’inquadratura insistita sulla grossa maschera antigas sul davanti del furgone di Tina e Ben è un chiarissimo riferimento al film di Parker, in quanto nella nostra pellicola tale tipo di maschera non serve davvero a nulla. Un’altra opera che mi è venuta in mente guardando La Casa in Fondo al Lago è il thriller sottomarino 47 Metri di Johannes Roberts (2017), dove una coppia, questa volta di sorelle, si fida di un certo capitano e di due ragazzi conosciuti durante una gita in Messico e si lascia convincere ad immergersi in una gabbia in una zona ad alta densità di squali. Ovviamente, anche qui, le protagoniste si pentiranno di essersi fidate di degli estranei, ed il batticuore legato all’ambientazione subacquea ed alla mancanza d’aria nelle bombole senz’altro si farà sentire, sebbene si tratti di due storie ben diverse l’una dall’altra. Ma i più ovvi riferimenti vanno a quelle pellicole, considerate tra i capisaldi del genere Found Footage, che sono il seminale The Blair Witch Project di Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez (1999) ed ESP – Fenomeni Paranormali dei Vicious Brothers (2011); in entrambi questi film un gruppo di ragazzi si recherà in posti sperduti, abbandonati, potenzialmente pericolosi, isolati da tutto e da tutti, per realizzare un reportage, ed i malcapitati finiranno per restarvi irrimediabilmente soffocati, impigliati nelle tele di qualcosa di oscuro a cui loro stessi per primi non avevano mai creduto fino a quando non ci si ritroveranno dentro. A differenza di questi due film, però, che sono completamente girati con la tecnica del found footage, il nostro film utilizza una tecnica mista, passando dalle riprese in prima persona fatte da Ben e Tina a quelle trasmesse loro dal tecnologico drone subacqueo di nome Tom, fino a quelle tradizionali realizzate dai due registi, senza alcuna pretesa, quindi, di presentare il fatto come se fosse realmente accaduto. La spiegazione di tutti i misteri è infine lasciata al ritrovamento di alcuni filmini in Super 8, esattamente come accadeva in Sinister di Scott Derrickson (2012). Lo schermo del cinema, poi, che viene strappato da un’entità mostruosa che, partendo dalle scene dei filmini, si concretizza e si riversa sugli incauti protagonisti, è un lampante omaggio ad uno dei capolavori della nostra cinematografia Made in Italy, Dèmoni, del Maestro Lamberto Bava, classe 1985. L’atmosfera che permea tutta la narrazione è poi, ovviamente, di stampo lovecraftiano, come già rivela la citazione tratta dal racconto del grande scrittore di Providence La Città senza Nome (1921). Lovecraft, come ben sapranno i suoi estimatori, ha sempre provato una sorta di attrazione/repulsione per le vecchie case abbandonate, dove spesso immagina abbiano soggiornato persone folli e crudeli che vi hanno poi trasferito, dopo la morte, la propria pazzia e crudeltà. Le case di Lovecraft non sono mai nidi familiari caldi ed accoglienti, ma entità quasi vive che avviluppano e fagocitano i malcapitati che finiscono al loro interno. Nel modo di Bustillo e Maury di descrivere l’abitazione della famiglia Montégnac c’è tutta la poetica del padre di Cthulhu, ed è probabilmente anche per questa loro vena descrittiva che io tanto amo che non ho mai trovato noioso un solo minuto dell’esplorazione della grossa dimora allagata, ma mi è invece servita per aumentare in me la tensione. È vero che da un certo punto in avanti il film ruzzola un po’ su certi cliché da horror mainstream, e che a volte gli spaventi “imposti” fanno meno paura di quelli “attesi” ed “immaginati”, ma tutto sommato la tensione si mantiene alta fino alla fine e, tranne alcune, pochissime sono le scene che si potrebbero definire prevedibili. Il sapiente uso del sonoro sottomarino, attutito dall’acqua e sottolineato da un’inquietante musica di sottofondo e dal respiro greve e profondo dei due protagonisti, sempre più affannoso man mano che iniziano a verificarsi eventi sempre più strani, e foriero di un consumo eccessivo e pericoloso di ossigeno, rende davvero la visione di questo film tanto più piacevole quanto più inquietante.
Insomma, ancora una volta la coppia composta da Alexandre Bustillo e Julien Maury si contraddistingue per l’intensità ed il taglio estremamente personale ed intimo che riesce a dare al proprio film, anche se la storia può risultare un po’ più semplice e lineare, se vogliamo, rispetto a quella estremamente contorta e squisitamente perversa di À l’intérieur. Certo i due protagonisti non sono nulla di speciale, nessuno dei due ha una caratterizzazione troppo marcata, sono piuttosto banalotti, anche nel fatto che lui sia il coraggioso e lei la paurosa ma che ad un certo punto saranno costretti a ribaltare i ruoli. Risulta più incisivo e interessante il personaggio del villain, Pierre, anche se appare per pochi minuti sullo schermo, ma l’attore Eric Savin, col suo sguardo truce e viscido, saprà senz’altro farsi notare, e ci lascerà strizzandoci l’occhio nel piccolo siparietto che chiuderà il film alla fine dei titoli di coda. Ma la bellissima ambientazione subacquea e la fotografia ricca di cupa atmosfera di Jacques Ballard danno al film un punto di forza notevole, facendoci ampiamente sorvolare sui suoi evidenti punti deboli. La Casa in Fondo al Lago saprà portarvi in un luogo carico di autentico mistero, di storie spaventose ed affascinanti al tempo stesso, di oggetti che portano in sé dolore, morte, lacrime, sofferenza, e anche tanta voglia di riscatto. Cosa cela l’enorme Crocefisso all’ingresso di quello che parrebbe essere un semplice sgabuzzino? Cosa sono quelle strane maschere che sembrano nascondere una pagliacciata da bambini? Perché le innumerevoli bambole disseminate nella casa hanno dipinti addosso insoliti simboli esoterici? Ma, soprattutto, com’è possibile che una casa completamente allagata da oltre 20 anni conservi ancora all’interno tutti i suoi oggetti perfettamente intatti, e perché porte e finestre sono state sbarrate e murate, se la casa era destinata ad essere sommersa dal bacino artificiale?
Ben e Tina scopriranno tutto a loro rischio e pericolo… E voi, siete pronti a preparare pinne, muta e maschere per affrontare il lago misterioso nella foresta di Chanteloup? Io ve lo consiglio vivamente.
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