In occasione della Festa del Cinema di Roma 2024, abbiamo avuto modo di intervistare il regista Stefano Chiantini e il cast del suo mélo familiare Supereroi. Al pari dell’omonimo film di Paolo Genovese il riferimento ai semidii della Marvel non c’entra nulla. Ad essere chiamata in causa è ancora la gente comune. Ma non gli irrisolti borghesi cari anche a Robert Redford dietro la macchina da presa. Bensì la classe operaia che parla romanesco, esorcizza la punta di spina del dolore con la prontezza dello spirito canzonatorio, elegge l’autoironia ad antidoto contro il vittimismo. La rivelazione Sara Silvestro, autentico astro nascente della fabbrica dei sogni dello Stivale, nei panni della promessa del nuoto risentita col padre camionista impersonato da Edoardo Pesce, rimane nella memoria. Al pari della madre, interpretata dall’incisiva Barbara Chicchiarelli, intenta ad anteporre il senso pratico delle persone semplici al tatto di comprendere le componenti psicologiche incastonate nei meandri dell’anima. Le cose non dette, e confessate obtorto collo, infatti costituiscono il maggior motivo d’interesse al pari della geografia emozionale che, senza alcun bisticcio dialettico, cementa quelle che lo stesso Chiantini ha definito le evoluzioni emotive dei personaggi con il passaggio dal risentimento alla forza del sentimento. Dal disincanto all’incanto dell’assoluta solidarietà. Espressa cum grano salis sulla scorta del lavoro di sottrazione d’ascendenza bressoniana.

Avete recitato per un regista che fa del lavoro di sottrazione la sua cifra dominante. Questa prerogativa stilistica ed espressiva vi ha limitato o costituisce un arricchimento?

Sara Silvestro: Sul set si è creato un clima d’intesa e di papabile complicità. Con Edoardo ci capivamo al volo. Lo stesso vale con Barbara e Stefano. È stato così più semplice afferrare appieno le sue indicazioni basate sulla capacità di sottrarre anziché di accumulare segni d’ammicco. Abbiamo quindi cercato da par nostro di tener fede al lavoro di sottrazione per rendere l’intero contesto del turbolento rapporto familiare estremamente naturale. E il carattere d’autenticità che n’è scaturito si è riversato sull’intensità interiore della nostra sottorecitazione.

Edoardo Pesce: La cifra stilistica di Stefano risiede indubbiamente nel lavoro di sottrazione. Risulta perciò molto delicata rendendo il suo modo di filmare quasi invisibile. Basato sulla forza significante di una concretezza a ben vedere molto esaustiva. L’unica cosa che ho aggiunto è stata una componente ironica da commedia all’italiana legata all’uso del romanesco per alleggerire un po’ la pesantezza del personaggio e il suo tormento. Credo fermamente che se mio padre si sentisse male stempererebbe l’angoscia nell’umorismo costituito dal vernacolo d’appartenenza.

In merito al carattere d’autenticità chiamato in causa come avete vissuto la scena finale in cui il lavoro di sottrazione cede il passo allo zenith delle emozioni fino a quel momento trattenute da pudore e incertezze?

Sara Silvestro: È stata la scena più emozionante in assoluto.

Edoardo Pesce: Per me è stata la più fredda perché il mio personaggio voglioso di risentire l’acqua non si è accorto che era gelata. Mi sono dovuto avvolgere in una coperta per un’ora una volta uscito. Sembravo una trota al cartoccio.

Non a caso fai Pesce di cognome. Ma al di là del risvolto scherzoso girare questa scena culminante nell’acqua fredda vi ha scaldato il cuore?

Edoardo Pesce: Sì. Perché Sara giunta in mio soccorso diventa il mio treppiedi. Sostituisce la stampella. Ed è la chiusura ideale del cerchio.

Sara Silvestro: Concordo. Concentriamo nella sequenza conclusiva tutte le emozioni. Quelle dapprincipio sussurrate e poi esplose. Ed è una chiusura del cerchio che, a dispetto dell’acqua gelata, ci ha scaldato il cuore spingendoci ad aderire completamente agli indugi e agli slanci dei personaggi.

Stefano, nella tua filmografia emerge l’egemonia della rarefazione sul dinamismo dell’azione. Però in zona Cesarini l’esplosione con quel grido “Papà”, simile per certi versi a quello pronunciato dal piccolo Enzo Staiola verso Lamberto Maggiorani nel classico Ladri di biciclette, prevale sull’implosione dovuta ai vuoti esistenziali, ai silenzi, alle faccende rimaste in sospeso. Qual è la ragione di questo avvicendamento conclusivo?

Stefano Chiantini: Come giustamente sostieni tu, il mio modo di filmare privilegia le risonanze dei silenzi e la necessità di riempire l’abisso dell’isolamento rispetto alla spettacolarizzazione dei sentimenti. Detto questo mi sembrava doveroso che nel finale tutto quello che era rimasto inespresso venisse completamente a galla. In conformità con le evoluzioni emotive dei personaggi che per tutto il film manifestano i loro sentimenti attraverso gli sguardi, il corpo, le frasi secche. Davanti invece all’atto un po’ confuso di Edoardo, intenzionato a sentire l’acqua, Sara doveva sfogare tutta l’emotività trattenuta lungo l’intero arco della narrazione.

Hai sempre sostenuto d’ispirarti ai fratelli Dardenne. Maestri dell’antiretorica al cinema. Secondo me i tuoi film richiamano alla mente, con le debite differenze, quelli di Ken Loach. Contraddistinti, citando Enzo Siciliano, dalle slogature delle emozioni. Riconosci nelle evoluzioni emotive dei tuoi personaggi queste slogature?

Stefano Chiantini: Hai fatto un raffronto che mi lusinga e trova effettivamente riscontro nel percorso compiuto dai miei personaggi in ogni film che ho diretto. Specie in Supereroi le emozioni trattenute si portano dietro delle ferite, delle slogature appunto, che necessitano d’un processo di guarigione. Ken Loach resta un modello da seguire per far affiorare la verità dell’antiretorica anziché gli artifizi retorici.

Eppure un film come Over the top, ritenuto retorico dagli spettatori con la puzza sotto il naso, sembra aver ispirato la premessa del tuo. Ritieni che, al di là delle distinzioni di comodo, il cinema d’autore possa trarre linfa da quello commerciale?

Stefano Chiantini: In Supereroi ho trasferito la mia esperienza di padre che vive separato dalla propria figlia pur amandola molto. Però, oltre all’input di raccontare qualcosa che conosco da vicino, Over the top ha offerto sicuramente degli spunti di partenza. Proprio perché rifuggo dalle distinzioni snobistiche e credo che anche i film ritenuti commerciali, e quindi di minor pregio culturale, possano costituire una valida fonte d’ispirazione.

Barbara, la romanità franca di cerimonie ti ha aiutato a definire il codice con cui la madre comunica nel nucleo domestico ricomposto per la malattia dell’ex marito?

Barbara Chicchiarelli: Senz’alcun dubbio. La romanità fa parte integrante di questo codice in virtù di un linguaggio paraverbale molto forte ed estremamente definito. Assolutamente intelligibile in tutta Italia. La romanità è über alles; aiuta a non perdersi in tante chiacchiere, ad arrivare dritto al punto e, soprattutto in questa vicenda, a raccontare il dolore immenso che attanaglia i personaggi neutralizzandolo in un certo senso con la sua vena disincantata e cinica.

Si tratta d’un cinismo benefico?

Barbara Chicchiarelli: Sì. In quanto gambizza il dolore lancinante. Impedisce alla sofferenza di prendere il sopravvento. La romanità in tal senso genera una risata amara. In qualche modo devastante. Consentendo ai personaggi di guardarsi da fuori e di non giudicarsi in maniera troppo severa.


Una risposta a “Mondospettacolo incontra il regista Stefano Chiantini e il cast di Supereroi”

  1. Avatar Giorgia Dutard
    Giorgia Dutard

    Ottima intervista come sempre Massimiliano!

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