Non mi stupisce se un uomo e un artista come Matteo Bonechi si rivolga alle piccole cose della vita “analogica” per ricercare un senso alto di bellezza. Questo suo nuovo disco dal titolo allegorico “L’estate spietata” porta in scena l’italiano e al provincia delle abitudini estivi, facendo allegoria e manifesto di elementi immancabili per un simile teatro. Dal sapore fortemente jazzato, registrato in presa diretta, senza computer, in modo analogico… non serve aggiungere altro. Che di bellezza si parla…
Noi iniziamo sempre parlando di bellezza. Ma non di quella estetica da copertina. Per te la bellezza che senso e che valore ha?
Un valore essenziale direi, un valore di ricerca ad oltranza. Malgrado si cerchi di renderla oggettiva, credo che mantenga sempre un connotato personale, ma condivisibile. Una canzone che diventa lo specchio di una pluralità di esperienze individuali, in modo che possa trattenere nella sua sintesi molteplici significati.
Come e dove cercarla per Matteo Bonechi?
Nelle piccole abitudini di tutti i giorni. Cercarla nella quotidianità, nella noia, nei ricordi, ma anche ad esempio prendendola in prestito dalla settima arte. Penso rappresenti una fra le “migrazioni” più semplici ed efficaci che si possa fare, dal cinema alla musica e viceversa.
La bellezza e il contenuto non sempre dialogano in pace. È un equilibrio continuo… come pensi di gestirlo ogni volta?
Penso dipenda molto dalle intenzioni e dalla necessità che si ha di portare sotto i riflettori di un palco una determinata esperienza. Non è semplice sintetizzare contenuto e bellezza, spesso l’equilibrio cede, si sbilancia, si nasconde per scomparire. Il rischio c’è, ma penso valga la pena tentare di mantenerlo.
E che suono ha per te la bellezza? Acustico e rapito al momento come in questo disco?
Il suono analogico ha una sua bellezza, così come quello digitale. Credo si tratti di pescare le giuste combinazioni e i giusti stati d’animo per cercare di rendere un brano il più rappresentativo possibile.
Che poi una canzone viene dichiarata finita quanto soddisfa canoni di bellezza o di… cosa?
Altro aspetto che definirei assolutamente personale. Come in un quadro, l’autore detiene la facoltà di lasciarlo “apparentemente” a mezzo per scelta stilistica. Poi ogni fruitore troverà nell’opera tanti punti in comune con la propria esistenza, oppure non ne troverà affatto. Non si può piacere a tutti e non trovo sarebbe nemmeno giusto.
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