E’ uscito da poco l’omonimo EP del duo mondocane!. Un disco che racchiude le canzoni pubblicate fin ora e due inediti.
L’EP racconta l’essenza del duo: voglia di sperimentare e mescolare suoni differenti. La loro anima rock si incontra e scontra con quella più elettronica. Il risultato è un mix di brani indie rock attraversato da synth intrapredenti.
Ecco cosa ci hanno raccontato
mondocane!
Il vostro EP racchiude il lavoro degli ultimi tre anni. C’è un momento o un’esperienza specifica che ha segnato la vostra crescita artistica in questo periodo?
Quando siamo usciti con fatica dall’esperienza Desad, abbiamo cominciato a suonare compulsivamente, in uno stream of consciousness musicale che ha prodotto più di 3 ore di musica. Ci ha guidati un’urgenza creativa priva di controllo. Da li abbiamo distillato 6 brani e le spore per altri. La spinta successiva più forte, è sicuramente conseguente all’inizio dell’attività live che ci ha stimolati moltissimo a produrre cose nuove, meno emergenziali, più contaminate e forse anche ragionate. Alternare prove per preparare i nostri live set ad altre maggiormente creative, ci ha consentito di costruire una routine molto fertile a livello di ricerca e produzione.
Nel brano “Outune” affrontate il tema degli stereotipi come “camicie di forza”. Qual è il messaggio principale che volete trasmettere con questa canzone?
Le nostre canzone non raccontano storie ne veicolano messaggi: non ci sentiamo all’altezza per fare l’uno o l’altro. Noi scattiamo dei fotogrammi verbali, a volte semplicemente cercando un’armonia fonetica, che visti nel complesso possono provare a trasmettere una sensazione. Sicuramente lo straniamento, lo scollamento dal contesto sia relazionale che ambientale come reazione a tutto ciò che incastra in stereotipi, incasella in confezioni autorigeneranti, chiuse alla contaminazione, è quello che si trova in Outune. L’autunno tra l’altro è una stagione che mi trasmette stasi, lo accolgo quasi rassegnato in attesa di altro. Sento che mi fa perdere gradualmente la connessione con ciò che ho intorno e ovatta le mie sensazioni. Per questo il gioco di assonanza tra Autunno e Out-Tune, fuori tono, mi è sembrata calzante nella scrittura di questo brano.
“Nuvole in viaggio” ha ottenuto un ottimo riscontro. Secondo voi, cosa ha colpito così tanto il pubblico di questa canzone?
Penso che ad un livello immediato, “Nuvole in viaggio” sia musicalmente il brano più “catchy” che abbiamo mai scritto. Pensa che proprio per questo era stato escluso dal nostro set in attesa eventualmente di rimodellarlo radicalmente. Quando poi, lo abbiamo, un po’ casualmente, ripescato ci è piaciuto tantissimo proprio come lo avevamo scritto e arrangiato all’inizio. Abbiamo deciso così di rendergli merito e di pubblicarlo come singolo, quasi come se avesse bisogno di un riscatto. Beh direi che se lo è preso ampiamente, e, ad oggi, è il nostro brano più ascoltato. Anche live viene accolto molto bene. Probabilmente anche la contrapposizione tra un arrangiamento cosi easy listening e la crudezza del testo, che parla di frustrazione, disagio, incomunicabilità, può avergli dato appeal.
La vostra musica è molto “materica”, nel senso che usate strumenti e suoni in modo quasi fisico. Quanto è importante per voi l’aspetto tattile e concreto della vostra musica, anche in studio?
Nonostante una parte del nostro set sia elettronico, la nostra musica è una musica suonata. Il feticismo per gli strumenti analogici, la ricerca del suono, che è stata lunga e avventurosa, attraverso l’uso di artifici anche artigianali, racconta del nostro bisogno di possedere e manipolare ciò che produce suono. Usare pedali analogici da chitarra per modulare il suono dei synth o la chitarra stessa, non come uno strumento da virtuosi ma come un mezzo di mera produzione sonora o le seconde voci come testimonianze disturbanti dell’inconscio, definiscono il nostro concetto di brano come “materia musicale”. In questa ottica anche lo studio di registrazione diventa uno strumento al servizio del pezzo. E’ anche per questo che non ci siamo mai posti limiti particolari sulla lunghezza dei pezzi.
Siete nati dalle ceneri della band alternative rock Desad. Quanto è rimasto di quella esperienza nel progetto Mondocane!?
Mondocane! Contengono nel loro DNA l’esperienza Desad che è stata profondamente affascinante anche se terminata in maniera traumatica a causa di un’alluvione che ha cancellato la nostra possibilità di proseguire insieme. Non è stato facile superarlo ma in noi era forte la motivazione a non lasciare perdere quanto costruito in quegli anni. Abbiamo sentito che per rispetto a quel progetto, che avrebbe meritato miglior fortuna, non potevamo semplicemente sostituire dei musicisti e riprendere il filo, ma dovevamo andare avanti partendo da li seppur con un esoscheletro musicale differente. E’ cambiato il processo creativo, il modo di gestire i set live ma il modo con cui vediamo la musica è lo stesso, proprio come quando suonavamo con Andrea e Damiano. Per questo motivo non siamo riusciti a fare a meno di un vero basso elettrico che in ogni nostro brano è suonato da Paolo Mirabelli, Dr. M. per noi, con cui abbiamo suonato nel progetto Landau e con cui collaboriamo da molti anni. Lavorare con lui è estremamente stimolante ed è oramai parte integrante del suono dei mondocane!
L’EP esce anche su CD in un’epoca in cui molti artisti si concentrano solo sul digitale. Cosa vi ha spinto a scegliere anche il formato fisico?
Per la nostra generazione la musica si possedeva fisicamente, la si poteva ascoltare solo attraverso un supporto. Questa cosa fa parte di noi e, anche se consideriamo lo streaming una rivoluzione enorme, piena di possibilità, la nostalgia della materia si fa sentire. E’ bello maneggiare un CD o meglio ancora un vinile, vedere delle copertine, leggere i titoli o i testi. Suonando molto live, inoltre, volevamo avere la possibilità di lasciare qualcosa a chi viene ai nostri concerti per costruire una connessione fisica con il pubblico.
Guardando al futuro, ci sono sonorità o generi che ancora non avete esplorato ma che vi piacerebbe sperimentare?
Sulla sperimentazione non ci poniamo limiti. Guardiamo molto all’esperienza dello shoegaze o del dream pop per arricchire i nostri pezzi ma non ti nascondo che, da bulimici della musica, ciò che ci colpisce, ci piace, inesorabilmente ci contamina, anche se non ce ne rendiamo conto del tutto. Ci disturba ascoltare l’adagio che la buona musica è appannaggio dei tempi andati: si produce ancora musica bellissima, emozionante, basta avere la curiosità e la voglia di cercarla. Noi lo facciamo e spesso ne restiamo intrappolati.
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