Alessandro Santo risponde all’intervista sul nuovo singolo “L’Abisso”, mostrando le sfumature intime e personali del brano.
Bentrovato, Alessandro. Cosa ti ha spinto a scrivere il brano “L’Abisso? Chi è l’ipotetico interlocutore a cui ti rivolgi?
Grazie. L’Abisso è un brano che stava paralizzato dentro di me da tanti anni e che oggi, attraverso percorsi personali, è riuscito a liberarsi dalle catene dell’inconscio.
Il mio interlocutore non è per niente ipotetico e penso che ognuno troverà il suo.
Quali sono i mostri che trascinano verso l’abisso? E cos’è per te quest’ultimo?
L’Abisso è un’ancora arrugginita in fondo all’oceano della nostra esistenza alla quale siamo legati dalla nascita e che si radica sempre più nel tempo. Quando desideriamo nuotare un po’ più in la l’ancora ci blocca e, oltre a bloccarci, affonda sempre più nel terreno tirando la corda che la lega a noi. È un processo lento, ma quando la corda tira tanto da farci boccheggiare a testa in su, siamo obbligati ad immergerci a profondità elevate per risollevare il macigno. È un’impresa eroica, perché, oltre alla forza che ci vuole, lo si fa quasi sempre in apnea e le uniche bombole di ossigeno a cui abbiamo accesso ci sono prestate da rari e cari dispensatori che incrociano la nostra discesa. Alcuni di noi hanno l’ancora piantata vicino alla riva, altri in mare aperto.
C’è chi rifiuta direttamente di immergersi, chi si immerge quando è troppo tardi e poi ci sono quelli che riescono a riemergere liberati.
I mostri che ci trascinano giù sono i desiseri e le paure, più i primi sono distanti dalla lunghezza della nostra corda, più l’ancora si pianta, più veloci e lontano proviamo a scappare dalle seconde, più, di nuovo, la corda tirerà.
“Ora per la prima volta mi sto mettendo davvero in ascolto di quello che sento / E anche se mi giudichi diverso continuo lo stesso”: quante volte si tende a mettere da parte ciò che si sente veramente, per paura del giudizio altrui? Secondo te, perché si creano queste dinamiche?
Per lo stesso motivo per il quale Dutch Nazari in Proemio scrive:
E intanto la radio trasmette canzoni d’amore scritte da autori che non amano/Fatte con un solo parametro, sperando di fare il disco di platino/E allo stesso tempo artisti indipendenti si autocensurano i sentimenti/Perché l’amore tra i vari argomenti/Non è abbastanza underground per i loro clienti.
Viviamo la vita come un negozio sempre aperto al pubblico, mentre dovremmo metterci in testa che ogni tanto chiudere per inventario e riallestimento è vitale.
A tuo parere, il tempo cura le ferite? O siamo noi esseri umani a farlo?
Il tempo, in realtà, non esiste.
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