“La vecchia signora non mi fa dormire; si siede sul mio petto e non mi fa respirare; quando io mi sveglio, lei va via”.

Buonanotte Vecchio è un antico borgo medievale nella provincia di Chieti, in Abruzzo, edificato nel XII secolo ed abbandonato definitivamente durante il XX. Pare che il suo nome, inizialmente, non fosse però questo, ma si chiamasse, invece, Malanotte, toponimo che fu cambiato probabilmente per scaramanzia, o forse per un episodio bellico avvenuto in zona, chissà… A noi di questo suggestivo borgo fantasma interessa soprattutto un’oscura leggenda che è racchiusa tra le sue mura ormai diroccate, quella della Pantafica, o Pantafa, una sorta di strega, uno spirito femminile maledetto che vaga nella notte posandosi sul petto dei bambini che dormono e rubando loro il respiro. Nel folklore abruzzese e marchigiano questa figura diviene poi una sorta di personificazione dell’Incubo, e pare trarre le sue origini dal fenomeno, più diffuso di quanto si creda, delle cosiddette paralisi del sonno. La tradizione suggerisce di mettere intorno al letto, per tenerla lontana, scope con molte setole o sacchetti colmi di legumi, così che essa, perdendosi a contare tali oggetti, lasci stare colui che riposa. Chi dice di averla incontrata racconta di essersi sentito come bloccato nel dormiveglia, di non  essere riuscito a parlare né a muoversi, e che essa avesse l’aspetto di una figura ammantata di bianco con occhi terribilmente spaventosi, che avevano il potere di paralizzare il malcapitato.

Basandosi su questa affascinante leggenda popolare, il regista Emanuele Scaringi realizza nel 2023 il bell’horror Pantafa, prodotto tra gli altri da Domenico Procacci della casa di produzione cinematografica Fandango, ed interpretato dalla di lui bella e brava sposa, l’attrice polacca Kasia Smutniak. Nonostante la storia si leghi a doppio filo col piccolo borgo abruzzese, l’ambientazione del film è invece costituita dall’insieme di diverse località in provincia di Roma.

Marta è una madre sola che decide di abbandonare la città ed andare a vivere con la figlia piccola, Nina, in un borgo montano sperduto nel nulla, Malanotte. Ella spera così di sottrarre la figlia alle continue allucinazioni e paralisi del sonno che la attanagliano. Molto presto si accorgerà che nel borgo tutti si conoscono e parlano di tutto, e sono legati dal timore reverenziale verso una figura mostruosa conosciuta come Pantafa, un’entità femminile che, persi i figli, tonerebbe ogni anno sulla terra per rapire un bambino da portare con sé, e per la quale, quindi, ogni anno viene data una festa, con la speranza di tenerla a bada. Ovviamente Marta non crede a nulla di tutto ciò, considerando tali storie solo delle dicerie, ma quando la Pantafa prenderà di mira proprio la sua Nina la giovane mamma sarà per forza costretta a cambiare idea e ad affidarsi ai locali, che sembrano conoscere bene i rimedi magici per tenere lontano questo spirito tormentato.

Scaringi racconta di aver avuto l’idea di questo film a seguito della scoperta fatta da un team di ricercatori dell’Università di Padova insieme ad un’equipe internazionale, ovvero che la patologia della paralisi del sonno (o ipnagogica) colpisce ben il 10% delle persone nel corso delle loro vite. Attingendo quindi dalla leggenda, che sembrerebbe proprio essere stata creata ad arte per esorcizzare questo tipo di male, il regista e le sceneggiatrici Vanessa Piciarelli e Tiziana Triana hanno dato vita a un horror altamente suggestivo, dove la Pantafa è un vero e proprio mostro, che ricorda gli spaventosi spettri giapponesi per movenze ed aspetto, e rappresenta il Male stesso, la parte più buia di ciascuno di noi. Una delle paure più inconfessabili e difficili da accettare è l’odio verso la nostra progenie. Un rancore indicibile e soffocato. Quello spirito maligno che insinua il dubbio che senza quel figlio la propria vita sarebbe stata diversa. Un tabù. Forse il più terribile di tutti. La Pantafa è una parte di noi, parla delle nostre bassezze più recondite. Quello che spaventa non è l’orrore mostrato ma il non visto, l’orrore che viene evocato. Quello che non si potrebbe raccontare.

La pellicola si apre subito in modo avvolgente, facendo leva su atmosfere da fiaba oscura, sospese in una sorta di attesa rarefatta, splendidamente rese dalla magica fotografia di Simone D’Onofrio, dalle tonalità quanto mai spettrali, nelle quali troviamo immerse le nostre due protagoniste, Marta e Nina, che sembrano vivere in un tempo ovattato, il quale ci dà subito il sentore che qualcosa stia per accadere, anche se non si intuisce immediatamente cosa ed in quali modalità, ma certamente non qualcosa di bello. Si sospetta di tutti, dietro ogni sguardo sembrano celarsi misteri e segreti inconfessabili, c’è qualcosa di respingente nelle persone del piccolo borgo di Malanotte, bello ma non certo accogliente, ed il fatto che donne e bambini non possano e non debbano uscire nei giorni precedenti alla festa della Pantafa non fa che rendere le due donne ancora più delle mosche bianche, spiate ed additate da tutti, fino al punto di far loro telefonate anonime che le invitano, molto poco carinamente, ad andarsene prima possibile. Pantafa può essere considerato appieno un folk horror, che affonda le radici nel folklore abruzzese per poi farlo suo e modellare il suo villain su figure di madri mostruose che tornano dall’aldilà per vendicare i torti subiti rivolgendosi ai figli altrui, come ad esempio la spaventosa Donna in Nero di The Woman in Black (James Watkins, 2012) o la madre dell’omonimo film di Andy Muschietti del 2013, ma anche, per rimanere in Italia, e nel campo del folklore, questa volta campano, la Janara dell’omonimo film di Roberto Bontà Polito del 2014, una delle tante streghe beneventane. Rimanendo nell’ambito del folk horror Made in Italy non possiamo non ricordare altre due ottime pellicole ambientate in piccoli borghi italiani ammantati di mistero: Controra, classe 2014, della regista Rossella De Venuto, ambientato in Puglia, e Shanda’s River, classe 2018, di Marco Rosson, ambientato invece nelle zone dell’Oltrepò Pavese ed a Voghera. Adoro quando i giovani registi vanno a scavare nel substrato culturale delle nostre leggende e delle nostre origini e vi traggono fuori delle storie imperniate su paure ancestrali che arrivano fino ai nostri giorni.

Tornando al nostro Pantafa, quindi, come avrete capito, mi è piaciuto molto. A ben guardare, certo, qualche difettuccio c’è. Ad esempio, l’uso della calata o dialetto locale: pertinente, adoperato certamente per dare maggior credibilità alla storia, e mi sta benissimo. Ma ci sono dei punti in cui alcuni personaggi, ad esempio l’anziana tata, lo usano in maniera così stretta che rimane difficile comprendere ciò che stanno dicendo, ed allora mi chiedo se non sarebbe stato meglio prevedere, in questi momenti, dei sottotitoli in italiano, come è stato fatto in vari altri lavori che si affidano agli idiomi locali come ad esempio i film di Lorenzo Bianchini in lingua friulana o i vari Gomorra. Altro, forse, punto debole del film è la sceneggiatura, che in alcuni punti non demarca affatto bene, soprattutto nel confuso finale, il confine tra il reale e l’irreale, tra l’onirico ed il concreto; tuttavia, vedendo nella Pantafa la personificazione dell’Incubo, della Paralisi Ipnagogica, può essere che volutamente Scaringi abbia deciso di mantenere la sua narrazione su più piani diversi, dandoci così l’idea di una voluta confusione.

Da sottolineare l’ottima performance delle due protagoniste, anzi, direi quasi tre. La splendida ex signora Taricone, Kasia Smutniak, per la quale sembra che il tempo non passi mai, non ha bisogno di mettere in mostra pelle nuda e di ostentare trucchi supersonici per risultare incredibilmente sexy e conturbante: in jeans, maglioni e stivali per tutto il film, l’attrice polacca riesce a convincere sia nella parte drammatica del suo personaggio, una madre che si sente inadatta a tale ruolo, sia in quella più propriamente horror, genere che non è decisamente il suo pane quotidiano. Al suo fianco, nei panni della figlia, la giovane e bravissima esordiente Greta Santi, la cui interpretazione le è valsa la candidatura come Miglior Attrice Non Protagonista alla seconda edizione dei Premi Cinematografici Vespertilio Awards. Il terzo fulcro femminile di questo triangolo è composto dalla modenese Betty Pedrazzi, attrice di gran classe con una lunga carriera cinematografica, televisiva e teatrale alle spalle, che la vede diretta da registi del calibro di Romolo Guerrieri (con cui esordisce su un set nel 1975 nel film Salvo D’Acquisto), Vincenzo Salemme, Paolo Sorrentino. Decisamente convincente nei panni di un’anziana paesana che si occupa di Nina quando Marta non c’è, la Pedrazzi sarà il personaggio spartiacque tra la superstizione e le credenze popolari e quello che realmente sta avvenendo nel borgo di Malanotte. Della parte maschile di cast ricordiamo Mario Sgueglia, Francesco Colella e Giuseppe Cederna, tutti raffigurati in modo ambiguo e duplice, come l’intero popolo di Malanotte. Ultima, ma non certo per importanza, non possiamo non menzionare la costumista del film, la toscana Gabriella Pescucci, Premio Oscar nel 1994 per L’Età dell’Innocenza e vincitrice di moltissimi altri prestigiosi premi per le sue collaborazioni in produzioni italiane ed internazionali.

La pellicola è stata presentata per la prima volta al Quarantesimo Torino Film Festival nel 2022, e come molti altri horror di qualità, tra i quali non si può non ricordare il bellissimo Babadook di Jennifer Kent (2014), utilizza i cliché del genere per affrontare tematiche ben più delicate e scottanti come il rapporto madre sola/figlia o, appunto, i già più volte citati disturbi del sonno. Scaringi sottolinea in un’intervista che il film “è anche una piccola critica a un modello di società che esige sempre la perfezione, per cui si tende a nascondere le fragilità e le debolezze verso se stessi, e non sono ammessi errori”. E così, con Pantafa, si va a scavare negli archetipi, nei mostri che ci permettono di affrontare le nostre paure, come nelle fiabe. Ed è così che mi piace, quindi, definire questo primo horror prodotto da Domenico Procacci, una Fiaba Nerissima e Cattivissima che però ci aiuta ad indagare il buio che abbiamo dentro di noi.

Ad accompagnare l’uscita del film ricordiamo anche quella di un fumetto, Malanotte – La Maledizione della Pantafa, scritto da Marco Taddei e disegnato da La Came, pubblicato da Coconino Press.

https://www.imdb.com/title/tt14372210


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