A quasi venti primavere di distanza da The village album e Shiawase no Kaori, distribuito fuori dal Giappone col titolo anglofono Flavour of happiness, l’ambizioso ed esperto regista nipponico Mihara Mitsuhiro torna a dirigere l’abile attore feticcio Tatsuya Fuji, noto agli amanti del cinema d’essai per il ruolo dell’appassionato proprietario della pensione Kichizo Ishida nel cult erotico Ecco l’impero dei sensi di Nagisa Ōshima, battendo, di primo acchito se non altro, sullo stesso chiodo.

Vale a dire la correlazione oggettiva tra habitat ed esseri umani e l’ascendente esercitato altresì dall’arte culinaria sui vincoli di sangue oltreché di suolo. Tofu in Japan – La ricetta del signor Takano ne certifica quindi l’incapacità di mutare segno o il tratto distintivo d’una cifra stilistica ed espressiva degna d’encomio?

L’inequivocabile risposta va ricercata sia nel rapporto delle soluzioni sceniche con l’avvertita psicotecnica recitativa sia nel carattere morale del racconto frammisto al sacrosanto carattere d’ingegno creativo. Le interpolazioni conferite allo scandaglio figurativo ed etnografico della città costiera situata nella prefettura dell’emblematica Hiroshima cara ad Alain Resnais, Onomichi, rispetto alla negletta comunità dove il riottoso protagonista di The village album fa ritorno e all’ex roccaforte samurai all’epoca degli stati belligeranti in cui il ristorante del XXI secolo al centro della trama dell’intenso Shiawase no Kaori innesca una tela di gesti ed emozioni che impedisce a ogni spettatore di schiodare dalla poltrona, al contrario dei soporiferi accenti sommessi d’alcuni affreschi intimisti privi di sugo, risultano indovinate. L’idonea location, eletta a buon diritto quindi ad attante narrativo carico di significato, cede però la ribalta dapprincipio all’egemonia degli interni rivelatori sugli esterni mitopoietici. L’adesione al forbito realismo liricizzante vagheggiato nella preparazione introduttiva del tofu dentro il laboratorio-tugurio nel quale l’incanutito Takano impersonato da Tatsuya Fuji si sente il padrone dello spazio infinito, sulla falsariga del Principe di Danimarca d’ascendenza shakespeariana, stenta ad anteporre la polpa dell’esito contenutistico all’inconsistente gelatina dell’approccio formale. L’insolita fonte proteica del fluido ricavato dalla soia è avvolta lì per lì dalla programmatica moderazione, che veleggia nella superficie dell’aura meditabonda degli alfieri dell’antiretorica, mentre il passaggio dalla tessitura al travasamento dello specifico siero tende invece ad accumulare la roboante cura dei particolari connessi all’enfasi di maniera anziché all’assoluta virtù di togliere al visibile per aggiungere all’invisibile.

L’ammiccante discrezione, tralignando l’ambita verità interiore nei pleonastici colpi di gomito congiunti alla facciata semidocumentaristica, aliena tanto in prassi quanto in spirito al carattere misterioso che connette persino gli spettatori meno propensi all’atto filosofico ed evocativo racchiuso nel rituale d’una ghiotta formula mutuata di bottega in bottega, ricalca, nemmeno troppo sottobanco, inarrivabili numi tutelari. Senza riuscire così ad assorbire nella pur innegabile schiettezza dell’ispirazione motu proprio l’infecondo senso di déjà vu. Il senso invece d’appartenenza a braccetto coi valori ereditati dalla tradizione appare stantio. Tagliato per giunta con l’accetta del mestierante. Sprovvisto dell’empatica sottigliezza del collega vietnamita, naturalizzato francese, Trần Anh Hùng ne Il gusto delle cose. Anche il toccante ed erudito Perfect days del guru giramondo Wim Wenders, seppur richiamato alla mente in virtù dello spirito d’abnegazione esibito nelle mansioni d’una professione ritenuta umile, appare lontano dalla portata di Tofu in Japan – La ricetta segreta del signor Takano. Che convince maggiormente quando converte gli sfondi esornativi del teatro a cielo aperto di Onomichi in saldi ragguagli introspettivi. Il denso ed energico confronto generazionale del signor Takano con l’affettuosa figlia adottiva che lo aiuta nella preparazione del Tufu è composto ciononostante d’elementi mélo piuttosto risaputi. Lo scavo psicologico dei personaggi non sgombra infatti il campo dal tentativo abbastanza velleitario di ricalcare tanto i compiuti piani di reazione quanto le sagaci variazioni sul tema dei codici patriarcali, della condizione femminile, dell’opportuna concezione pittorica, impreziosita dalla consona geografia emozionale, ad appannaggio degli autori con la “a” maiuscola. Autoctoni o altresì stranieri globe-trotter tipo Wenders. Le esplicite reazioni emotive dei personaggi, attanagliati dall’impasse dell’incomunicabilità dovuta alle reciproche prese di posizione contro il modo agli antipodi di concepire il mondo, ma propensi ambedue all’autorevole differenziazione gerarchica tra i fornelli, pagano dazio alle polveri bagnate delle idee attinte all’estro altrui.

Le implicite reazioni emotive legate viceversa alla terra natìa, ai vicoli, alle strade, al molo, colmo di ricordi, costeggiano una punta di mistero destinata ad accrescere step by step lo spessore del film. L’incontro in ospedale con l’elegante ed eterea coetanea, in procinto di subire un’operazione chirurgica da far tremare le vene e i polsi di dantesca memoria, consente di mandare in soffitta le sterili e anacronistiche riflessioni gianseiste frammiste agli annosi frammenti esistenziali. La dignità, il garbo, l’affabilità aliena ai brividi peccaminosi portati sul grande schermo da Ōshima, rimandano, al contrario, a Hiroshima mon amour di Resnais. Riletto a tratti in chiave meno intellettuale e più sentimentale. L’apparente tendenza alla caricatura di certe gag d’alleggerimento, con Takano pronto a saldare in slow motion il conto ai parenti approfittatori dell’attempata Venere data per spacciata, colgono, al contrario, nel segno. Grazie pure all’ennesima conferma delle notevoli doti d’interprete sfumato ed eclettico dell’intramontabile Tatsuya Fuji nei panni del vecchietto dal timbro di voce perentorio. Deciso ad annettere sul finale ai sapidi segreti della cucina lo slancio in sordina del sangue aggiunto. Tofu in Japan – La ricetta segreta del signor Takano trova quindi in zona Cesarini l’antidoto alla deleteria melassa romantica delle ordinarie soap opere e raggiunge pian piano il giusto equilibrio. In mezzo a lazzi generosi, empiti cipigliosi, eloquenti silenzi ed echi zeppi di charme stuzzicante.


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