Parlare di un film di David Cronenberg non è mai una cosa semplice e lineare, perché ogni sua opera è pregna di significati che vanno ricercati e ritrovati con acume sottile e occhio per i dettagli e ciò che sottintendono. Oggi mi accingo al difficile compito di parlarvi del quarto lungometraggio del regista canadese, Rabid, accompagnato in Italia dal sottotitolo Sete di Sangue, e che letteralmente significa “rabbioso”, classe 1977. Già nella precedente pellicola, Il Demone sotto la Pelle (1975), Cronenberg aveva buttato le basi di quello che diverrà uno dei temi principali delle sue storie, il Body Horror, col nemico che arriva direttamente da dentro il nostro corpo, portando i protagonisti ad un rapporto squilibrato e distorto sia con la malattia che con la propria carnalità. Elementi quali le mutazioni genetiche, le malattie deturpanti, le varie deformità, le mutilazioni, si accompagnano spesso, nel cinema del Maestro di Toronto, alla degenerazione mentale dell’individuo che non riesce ad accettare tutto questo orrore. Cronenberg aveva già abbracciato certe tematiche nel suo secondo film, Crimes of the Future, per poi metterle al centro dei successivi, Il Demone sotto la Pelle, Rabid, Brood (1979), La Mosca (1986), Inseparabili (1988) fino all’ultimo Crimes of the Future (2022). In Rabid tutto gira intorno ad un trapianto di pelle da un individuo morto ad uno vivo, con quello che ne conseguirà.
Rose ed il suo ragazzo hanno un terribile incidente motociclistico, dal quale lui esce quasi illeso mentre lei rimane schiacciata sotto la moto e viene trasportata d’urgenza in una clinica che si trova nelle vicinanze, specializzata in trattamenti per il ringiovanimento cutaneo. Il dott. Keloid vede nell’arrivo di Rose la grande occasione per dimostrare la sua teoria secondo la quale la pelle dei morti potrebbe essere impiantata con successo sui vivi, e così farà, ricostruendo buona parte del corpo martoriato della giovane. Quando finalmente Rose si risveglia è di nuovo bella e senza alcun segno, ma con un’insaziabile bisogno di nutrirsi di sangue umano! Le vittime che ella, in modo alquanto singolare, dissangua, non muoiono, ma si risvegliano in preda ad una sorta di rabbia furiosa che le porta a cercare altro sangue, e così il terribile contagio inizia a diffondersi inesorabilmente in tutta la città, scatenando il panico tra la gente.
Se ne Il Demone sotto la Pelle era un parassita ad infettare tutti gli abitanti di un palazzo attraverso i rapporti sessuali, in Rabid si tratta piuttosto di alcuni batteri anomali che iniziano a proliferare nel sangue di Rose dopo l’innesto chirurgico della pelle di alcuni defunti. Quello che risulta interessante è il modo in cui la giovane si trova a nutrirsi di sangue umano: non tramite la bocca ed i denti, come un normale vampiro, ma attraverso una sorta di vagina che le si è misteriosamente aperta sotto l’ascella e dalla quale fuoriesce una specie di pungiglione dalle fattezze falliche che le serve per inocularsi il sangue delle sue vittime, come una grossa siringa. La ragazza ovviamente non accetta subito bene la cosa, ma dovrà imparare, suo malgrado, a conviverci, in un’estenuante lotta per la sopravvivenza. E se nel film precedente il virus si trasmetteva per via sessuale, a ben guardare anche qui le cose non sono cambiate completamente, in quanto Rose penetra le sue vittime col suo pungiglione fallico in una sorta di atto para sessuale dal quale parte il contagio. Nonostante questo, in Rabid non c’è alcun tipo di torbido compiacimento erotico, ma solo un freddo vampirismo moderno che usa l’aspetto della libido per una pura e semplice sussistenza, sopravvivenza. E poco importa se la protagonista del film è la nota pornostar americana Marilyn Chambers, diventata una stella dell’hard grazie al suo primo film Dietro la Porta Verde (1972) di Artie e Jim Mitchell: Cronenberg la sceglie su suggerimento del produttore Ivan Reitman, ma la sua prima scelta sarebbe dovuta cadere sulla minuta Sissy Spacek, che l’anno precedente aveva fatto il botto interpretando la protagonista del capolavoro di Brian De Palma Carrie – Lo Sguardo di Satana. Alla fine, tuttavia, il regista si lascia convincere a dare il ruolo di Rose alla Chambers, e resta piacevolmente colpito dalla determinazione con cui l’attrice prepara il personaggio, lasciando da parte tutti gli orpelli e la sensualità che fanno parte del mondo del porno da cui ella proviene. Un piccolo omaggio alla Spacek Cronenberg lo fa comunuque: nella scena in cui Rose esce dal cinema si vede affissa vicino alle porte proprio la locandina di Carrie.
Quello che parte come un film intimistico, relegato ad una coppia e ad una clinica privata, diviene ben presto una sorta di apocalittico dai toni decisamente romeriani, fino al disilluso finale che non può non lasciare con un grosso senso di straniamento.
Cronenberg ci dà subito prova di una regia dinamica e ricercata, così come risulta raffinata ed elegante la fotografia di René Verzier. La scrittura del soggetto e della sceneggiatura, entrambe di Cronenberg stesso, sono istintive e selvagge, com’era di norma in tutti i suoi primi lavori. L’idea di base è quella di un tessuto neutrale che, una volta innescato in un organismo umano, si può trasformare in qualcosa di imprevedibile, tipo un organo a se stante, anche perché nel 1977 le sperimentazioni con le cellule staminali erano già un argomento di cui si parlava. Ed è così che la mente geniale del regista canadese concepisce l’idea di mettere sotto l’ascella di Rose una sorta di vagina dentro alla quale si trova una sorta di pene che colpisce e vampirizza la vittima prescelta, in un gioco di squadra che neutralizza ogni speculazione sulla guerra dei sessi. Tuttavia, non è questo il focus su cui si deve concentrare, da copione, l’attenzione del pubblico, che è più verso la contaminazione apocalittica virale e la legge marziale brutalizzante che ne consegue, Romero Style. Rose, a ben guardare, è in fondo solo il tramite utilitario per la diffusione del virus idrofobico che porterà inesorabilmente alla distruzione dell’intero mondo. Alla fine verrà buttata come fosse immondizia, poiché il suo ruolo è stato portato a termine ed ella è ormai diventata inutile.
In questa pellicola Cronenberg condensa e rielabora quelli che sono un po’ gli elementi fondanti del filone fanta-horror, dal mito del dott. Frankenstein ai vampiri, dagli zombie allo sdoppiamento della personalità. L’esplorazione del Maestro del body horror delle trasformazioni genetiche del corpo destinato dalla scienza alla sperimentazione di tecnologie mediche precorre di mezzo secolo le odierne potenziali ibridazioni dell’essere umano con l’intelligenza artificiale, tema che vedremo in qualche modo sviluppato anche in Videodrome (1983). Nonostante il budget limitato, Cronenberg riesce comunque, con tutti i limiti imposti, a regalarci un film spietato, teso ed altamente impressionante, in cui la freddezza della rappresentazione non lascia spazio alla tristezza sulla sorte del genere umano, né ad alcun tipo di pietà per i corpi ammorbati dalla rabbia ferina, che diventano ineluttabilmente un numero, un passaggio verso la fine ormai segnata.
Il tema del contagio, si potrebbe dire un’ossessione per il nostro David, è quindi il vero protagonista del film, come lo era già stato ne Il Demone sotto la Pelle, e viene sviluppato alla perfezione in una pellicola imprescindibile, certo non scevra di pecche, ma che mi sento di inserire nel novero dei capolavori cronenbergiani. Rispetto alla pellicola precedente qui si fa poi un passo avanti: lì gli individui contagiati subivano un distacco incontrollato della psiche per diventare preda del solo istinto, qui invece inizia ad emergere il conflitto dialogico tra corpo e mente, la quale non può e non vuole accettare ciò che invece le sta capitando: la schizofrenia entra a far parte da questo momento del cinema di Cronenberg, scindendo psichicamente corpo e cervello. Il dottore stesso, Keloid, non è un pazzo alla Herbert West che agisce fuori dai protocolli istituzionali, ma invece un rinomato chirurgo plastico che lavora in una lussuosa clinica per ricconi collocata all’interno di un centro urbano, simbolo quindi di un progresso edonistico disfunzionale indirizzato al disfacimento. Alla scienza non resta che l’amaro compito di rimanere ad osservare inerte i danni da essa stessa provocati, fino a soccombere totalmente alla brutalità animale primigenia dell’aberrante virus. Al dott. Keloid non verrà riservata una sorte migliore rispetto a tutti gli altri.
Se La Città verrà distrutta all’alba, classe 1973, di George A. Romero, può essere considerata la principale fonte d’ispirazione per il nostro Rabid, tuttavia mi sembra ingiusto tacciarlo, per questo, di poca originalità. Potrà risultare a tratti ripetitivo, soprattutto nella scia dei delitti, tutti più o meno simili, ma si snoda con un senso del ritmo notevole, accoppiato ad un montaggio serrato, che lo rendono decisamente avvincente ed accattivante. È altamente sminuente considerarlo un semplice film horror, ma è piuttosto uno studio sui rischi delle tecnologie in ambito medico da far accapponare la pelle. L’Epopea della Nuova Carne del genio di Toronto è ormai una solida realtà, dove continuare a costruire i tasselli successivi della sua riflessione sul corpo come contenitore di orrori e bellezze indicibili, che connota di significati morali e, perché no, educativi.
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