Regista dell’acclamato Nocturama e di Coma, film su una crisi pandemica globale, Bertrand Bonello riprende la macchina da presa per dirigere The beast, liberamente ispirato al racconto La bestia nella giungla, scritto nel 1903 da Henry James.

In un futuro ipotetico la tecnologia ha fatto ulteriori passi da gigante. L’intelligenza artificiale si è sostituita alle persone praticamente in ogni settore e ha contribuito a creare un mondo sicuro ed efficiente ma privando gli esseri umani delle emozioni.

Parigi 2044. Gabrielle, interpretata da Lea Seydoux, ha la possibilità di purificare il suo DNA dai traumi delle vite passate. L’incontro con Louis, portato in scena da George MacKay, susciterà nei due l’impressione di conoscersi da sempre. Anch’egli si sottopone allo stesso trattamento di Gabrielle. Ne risulterà un legame che li unisce in tre periodi temporali inerenti al 1910, 2014 e 2044 e in cui tre versioni dei personaggi si confrontano con un grande amore, ma attraverso i diversi codici di ciascuna epoca.

The beast rievoca già nelle prime sequenze il film di Alain Resnais L’anno scorso a Marienbad ripercorrendo saloni sontuosi e frasi ricorrenti, per un film che ambisce ad essere sperimentale senza però averne la sostanza e la personalità. L’opera di Bertrand Bonello interpreta a suo modo il déjà vu, cercando di raccontare in maniera originale l’avvento dell’intelligenza artificiale. Questa determina una purificazione dei traumi, ma in senso allegorico anche dei peccati, sostituendosi alle religioni con una nuova fede e, prendendo in un certo senso possesso anche della psicoanalisi, esercita un potere assoluto. Le immagini, pur molto curate, da sole non bastano e il racconto appare confuso.

La narrazione si perde nel vano tentativo del regista di inseguire i grandi autori e la loro arte nella presunzione di poter uguagliare il magnetismo visivo di David Lynch e Stanley Kubrick. La volontà di avere un impatto autoriale proprio naufraga letteralmente, rimanendo un esercizio di stile fine a se stesso e senz’anima. Il lungometraggio ha una durata di due ore e ventisei minuti che risulta a dir poco eccessiva, rischiando di far perdere il contatto con una storia in bilico tra melò e fantascienza. Tutto che si diluisce col passare di minuti interminabili. Un vero peccato perché un potenziale interessante The beast lo aveva per descrivere l’angoscia di un futuro privato ancor di più delle emozioni, a confronto con timori ancestrali di pericoli e tragedie in agguato, che invece ben si adattano alle paure dell’essere umano.


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