Incontriamo da vicino un duo ormai di lungo corso, formato da Francesco Armani e Maurizio Viviani. Sono gli Obici che ci regalano un ascolto decisamente intrigante come “Solipsistic Horizon”, un rock dalle smagliature trasgressive, urbane e futuristiche a tratti. Mi piace leggerci dentro la forza della libertà che dialoga senza maschere con il bisogno di emancipazione. Indaghiamo sulla bellezza… noi lo facciamo sempre.

Noi parliamo spesso di bellezza… andando oltre quella bellezza da copertina. Per gli OBICI cos’è la vera bellezza? E poi come e dove trovarla? Anzi: come sapete d’averla raggiunta?
La bellezza nella musica è qualcosa che incontri per caso vagando tra le note. Tra le tante cose suonate, magari improvvisando alla chitarra, ti accorgi che una sequenza di note è diversa da tutte le altre e che conquista il tuo cuore. In qualche modo cerchi di fissarla su un supporto e da lì in avanti è tutto un lavoro per sgrezzare quell’idea, per trasformarla in lavoro finito e portarla nel mondo dove tutti possano vederla. Il buon artista è quello che riesce a portare a termine questo processo senza rovinarla facendo troppo poco o troppo tanto. È un equilibrio delicato da trovare.

In questo disco ho come l’impressione che la bellezza sia una dimensione privata… sia nel privato di ognuno di noi…
Vista la premessa sicuramente la bellezza viene da dentro di noi. La sfida è portarla fuori vincendo tante insicurezze e rinunciando a tante maschere. È un processo che ha a che fare con la conoscenza di sé stessi e con la fiducia nei propri mezzi. A volte è più facile rifugiarsi nel brutto e rinunciare alla comunicazione col prossimo. Quello che sembra un atteggiamento di sfregio e quasi arroganza rispetto al pubblico nasconde spesso le più grandi insicurezze.

Lo disco perché questa voce portante, spesso poco comprensibile per com’è stata concepita, sembra come a volerci dire sottovoce verità che in fondo non dovrebbero essere svelate… ha senso secondo voi questa mia interpretazione?
È stata una scelta stilistica quella di fondere la voce nel muro sonoro, una nostra precisa richiesta. Potrebbe essere anche questa una maschera di quelle citate sopra, ma in realtà mi piace pensare che sia invece una scelta che valorizza il fitto intreccio sonoro che caratterizza i nostri pezzi. Tutte le tracce che si accavallano hanno per noi pari dignità della linea vocale. Certamente non vale in assoluto questa regola e infatti siamo abituati ad ascoltare quasi sempre musica dove la voce è assolutamente prevalente. Qui la linea vocale è uno strumento che fa parte della sinfonia. Oltre a questo chiaramente aggiunge con le parole i concetti che abbiamo voluto esprimere col nostro album.

Il messaggio di questo disco? Alla fine, si perde o si vince dentro questa vita?
Nella vita si vince finché si è vivi e non mi riferisco alla vita biologica. Il messaggio di questo album è cercare sempre un orizzonte al quale tendere che ci faccia sempre migliorare come persone. Cercare questo orizzonte fuori di noi è un gioco pericoloso in quanto si rischia di ritrovarsi senza accorgersene dove non si avrebbe mai voluto. Questo orizzonte quindi lo dobbiamo cercare dentro di noi e dobbiamo lavorare ogni giorno per non perdere la speranza e per fare almeno qualche passo nella direzione giusta. Un giorno ci ritroveremo in cima alla montagna e potremo finalmente ammirare il panorama per alcuni minuti. Il tempo di rifiatare per poi puntare ad un’altra montagna, più ripida.


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