“Arriverà una sera in cui mi guarderò indietro e mi chiederò se ho dimenticato qualcosa d’importante, se ho perso le occasioni che aspettavo, se devo ancora perdonarmi perché tra le cose che ho, non ci sono quelle che ho voluto davvero, ma quelle che ho finto di volere solo perché era più semplice, perché fare finta è sempre l’alternativa di chi non ha coraggio.”
In questo estratto scritto al futuro c’è tanto passato. Che ruolo ha il passato di ognuno di noi quando fingiamo chi siamo?
“Il passato è il nostro più grande nemico. C’è ma non lo puoi toccare. A differenza del futuro pieno di aspettative e speranze, il passato è ricordo, insegnamento.Il passato è fatto di quella lista di decisioni e scelte che ha disegnato chi sei. Non sempre ci sta simpatico. Viktoria, la protagonista di “Mentre tutti fingono” sa che le sue decisioni passate sono state quasi tutte sbagliate, ma è stato il solo modo per sentirmi libera. Agli sbagli reagisci in qualche modo, gli sbagli passano, si trasformano, insegnano, i rimpianti lasciano un vuoto e quello non passa più. Il passato siamo noi, quelli che vediamo adesso allo specchio. E io lo lascio lì solo per l’insegnamento che mi ha dato. Viktoria mostrerà a se stessa che non si è persa niente, che non ha fatto quello che si deve, ma quello che andava bene solo per lei. L’unica a giudicarsi sarà lei, tanto la gente parlerà comunque. E se la pone la domanda importante: Cosa voglio veramente? E sceglie da sola, anche di fare la cosa etichettata come sbagliata. Il valore di questo mondo è dato anche da quelli sbagliati, imperfetti, fuori posto e fuori tempo. Qualcuno deve pur farla la cosa sbagliata altrimenti quelli perfetti non si notano“!
Si finge sempre quindi?
“Non si finge sempre, si sbaglia”.
E se rovesciassimo la situazione? Se non fossero le persone a fingere ma le etichette a copiare noi?
“In una visione al rovescio del mondo sono le persone che applicano etichette, a essere diverse, insicure o, semplicemente, poco coraggiose. Bisogna smettere di spingere per l’omologazione rifiutando chi non rientra nello stampino, come se fossimo merce. Siamo tutti diversi e non c’è niente di male. No”?
Chi è Viktoria?
“Una donna con uno spiccato senso di indipendenza, non sottomessa al fantasma del maschilismo che, anche se non ci tiene alla declinazione, la puntualizza. Lotta per trovare se stessa nel quotidiano e nel lavoro dove prova tutte le strade. Cooptazione, passione, entusiasmo e preparazione, sembrano non bastare per seguire un pagina della cultura di un giornale che fa notizia solo con il gossip“. È una donna che non intende rinunciare a far sentire la propria voce. Ci riesce solo dopo tante delusioni e silenzi a far rispettare i propri diritti, anche a rischio di essere rifiutata dalla comunità. Un donna che alla fine ritorna da se stessa senza, per questo, sentirsi sola. Una donna che vinto.Viktoria, donna scomoda, sola e senza certezza, con tanta confusione in testa e una lista di rapporti fragili con persone forti, ha perso tante cose, però, ha la sensazione di aver vinto. Ha trovato tutte le risposte. Erano lì a portata di mano. Ha cambiato le regole, ha amato e sue scelte scomode, le sue incertezze. Ha smesso di fingere.Viktoria si guarda intorno, soffermandosi sulle storie degli altri. Nota che le storie che la toccano sono quelle che hanno fatto già un po’ di strada. Possiamo dire, in un certo senso, che impara dall’esperienza”.
Quindi, chi vince nella vita è una donna?
“Non vince nessuno. Non c’è una gara. Le donne non si svegliano ogni mattina con la voglia di combattere per vincere. Le donne osservano e giudicano, prima se stesse e poi gli altri. Questo è anche un difetto ma fa da leva e solleva un mondo! È facile giudicare un inizio, le tribolazioni di vite arrivate a mezza età non sono mai tutte rose e fiori. Il matrimonio, l’essere genitore, essere troppo figlio o troppo non figlio, mantenere un’amicizia e, nel contempo, viversi, rispettarsi, è difficile. Quando parlo di questo romanzo, lo definisco “per le donne”, ma non delle donne. Fingere è un argomento che tocca tutti. L’essere donna, in questo senso ha una spinta in più verso la finzione. Non è semplice essere donna, mamma, amica, figlia, sorella, collega, moglie, amante e restare comunque femmina. Il tratto decisivo è la vulnerabilità. Comunque sia si tratta sempre di esporsi alla possibilità di soffrire. E l’amore di questo ne sa qualcosa”!
Dell’amore, cosa insegnerà la Vita?
“Credo che tutto dipenda dal modo in cui siamo stati cresciuti e poi amati. Io non sono una donna modello. Credo sia la scommessa della nostra generazione. I nostri genitori hanno omesso le risposte importanti e questo ci ha aiutato tanto. Si è cominciato presto ad avere bisogno di conoscersi. Ci siamo riproposti le domande e non ci siamo fermati fino a quando non abbiamo conosciuto le risposte. Noi adesso abbiamo gli strumenti per capire i figli. Una volta mamma e papà litigavano, ma nessuno ci spiegava cosa stava succedendo. Oggi i figli sono seduti accanto a noi”.
È finita l’era dell’amore romantico? Siamo contemporanei e pratici?
“Scorgere il romanticismo in questa praticità fa la differenza. Quello che mi dispiace è che non tutti la riconoscono. Perché, purtroppo, non la conoscono”.
L’immagine che abbiamo di noi stessi rema con l’importanza di fingere?
“L’opinione che ci costruiamo di noi stessi, ci aiuta a progredire o ci condanna all’insuccesso. Le persone pensano di essere negate per qualcosa, in realtà tutti abbiamo le stesse capacità, cambia la velocità, la voglia, l’interesse e spesso le occasioni. Pensare di non riuscire ci mette nella condizione di cullarsi nella finzione appunto. Fingere di stare bene, di accontentarsi di quello che si ha per paura di non riuscire. Smettiamo di imparare, di essere curiosi e questo ci uccide. Chi smette di fingere non rinuncia a quello in cui crede come l’amore che muove tutto. Tenta di dar vita a qualcosa di armonico, senza per forza far finta di amarsi”.
Non anticipiamo nulla, ma io ho letto i tuoi tre romanzi e hai un modo particolare di chiudere prima del finale.
“Ho un mio obbligo narrativo: finiscono non come dovrebbero finire le storie, ma come in realtà finiscono. Nel migliore dei modi possibili che non si chiama lieto fine, per me. Il finale, a mio avviso, deve essere vero, non deve accontentare nessuno. Un finale dove chi vuole vince, chi non ne ha il coraggio finge di accontentarsi. Le mie storie non hanno un finale sorprendente. Hanno un finale vero, come la vita. Quella che più mi somiglia, magari”.
Hai affronto il tema del disturbo d’identità e dell’aborto, due argomenti che camminano assieme?
“Ho trattato l’argomento guardandolo da lontano. La malattia psichica nasce spesso da un disturbo, da qualcosa di profondo. La finzione è il perno del disturbo. È esso stesso il disturbo. Il problema è ammetterlo a se stessi e ancora più insuperabile dirlo agli altri. L’altro tema, quello dell’aborto è ancora argomento che scotta, ma non un argomento nuovo. L’aborto è sempre esistito. La scelta del sì o del no ha sempre distrutto le donne, solo che nessuno lo raccontava. L’aborto non è tanto diverso dal diventare madre. È una scelta. Si sceglie di non essere madre, con calma, quando possibile. Non è semplice. Non come scegliere un vestito, un piatto, una casa nuova, un fidanzato, un marito. Non è la stessa cosa. Per ogni sventura c’è un antidoto, un cassino per cancellare senza dimenticare. Ma, avere un figlio è per sempre. Per la donna è, secondo me, qualcosa che deve nascere da un “progetto”. Si passa dalla libertà assoluta alla dedizione assoluta”.
E io voglio insistere sull’amore. L’amore finge?
“L’amore“, quello vero, va tutto potentemente a caso. Non finge, cade, si lancia in un vuoto senza sapere dove andrà a finire, quello che finge non è amore. La china rischia di essere ancora più scivolosa quando va bene. Non somiglia a niente di candido, è ruvido, difficile ma anche duraturo. Non c’entra nulla con la coppia, le promesse e quelle carte da firmare. Come puoi chiedere all’amore di firmare? L’amore è un sentimento confuso, sciocco, e irrazionale. Non è possibile mettere nelle sue mani un progetto per sempre come il matrimonio. L’amore non è progetto. Questo non esclude che possa durare anche per sempre. Qui non tutti mi capiranno”.
Chi sopravvive all’amore senza fingere?
“Chi rischia di guardare al futuro, pieno di paura, ma con la voglia di mancarsi e cercarsi sempre”.
Il piano B? Affidarsi al destino?
Le donne forti non credono al destino, lo citano per convenienza! Si culla nella favola del destino chi aspetta solo di invecchiare
“Destino? La vedo come una strada, un’inclinazione, un divenire che è in noi da sempre, è quello che dobbiamo diventare e che dobbiamo risolvere da soli. Le donne forti non credono al destino, lo citano per convenienza! Si culla nella favola del destino chi aspetta solo di invecchiare. Sono convinta che noi donne spesso tendiamo ad andare fuori strada perché il nostro istinto ci porta a comportarci o ad adattarci in base alle aspettative della società. Può, qualche volta, essere difficile trovare il tempo per chiederci chi vorremmo essere davvero – e non ciò che pensiamo gli altri potrebbero approvare o accettare, ma ciò che vogliamo davvero noi. Se imparassimo ad ascoltarci, ecco che potremmo scegliere di andare avanti, per imparare a cambiare. Detto questo, per me, non esiste il destino, non esiste il grande cuore e il mulino a vento montato affianco alla casetta, non esiste il per sempre né gli amori impossibili. L’amore è un’impresa che va tentata. Non serve la bellezza né l’oroscopo. Ti piace chi ti piace e basta, con il rischio di perdersi, che muove tutto. Platone diceva che uno dei due capisce di essere desiderato e poi si stufa, e l’amore muove sempre verso quello che gli è più contrario. Chi la pensa come Platone si culla nell’intrattenimento del piacere carnale per non soffrire. Perché ‘amore vero è anche sofferenza“.
Se imparassimo ad ascoltarci, ecco che potremmo scegliere di andare avanti, per imparare a cambiare.
Fingiamo quello che siamo? È questa la tua sintesi?
“Non voglio insegnare nulla, non voglio dire “si fa così”. Vorrei incoraggiare le persone a provare a capire chi siamo davvero. Rispondere ad alcune domande. Capire cosa fa più paura: farsele, quelle domande, non continuare a vivere una vita che non è la nostra. Una vita copiata che ereditiamo da millenni“.
Senza domande forse, però, si vive meglio?
“Senza domande è tutto meno vita”.
Domanda delle domande: cosa ti spinge a scrivere?
“Scrivere nasce sempre da un’esigenza e le mie esigenze sono poche o tante, in fondo, i libri ci somigliano: pieni di soggetti in attesa, verbi al passato che fanno posto ai verbi che sperano un futuro e si dimenticano del presente. Parole in fila, spesso senza un senso che però abbiamo necessità di dire. Capitoli noiosi, interessanti, capitoli che raccontano troppo di noi che non vorremmo mai rileggere, però, lo sappiamo, che tutto fa parte della storia. Sarebbe un peccato amare le parole e non saperle usare in modo giusto. È fantastico come le parole prendono vita, hanno un’anima inquieta come la mia. Cambiano anch’esse, come le persone. Le parole vivono tra una virgola e l’altra, soffrono, amano e muoiono nel gran finale“.
Bisogna trovare quell’uscita di sicurezza dagli sbagli. Tu l’hai trovata?
“Alle domande importanti, Non mi piace dare le risposte assolute, senza sfumature. Posso dirti che per adesso vedo l’uscita. Quella della scrittura per me è una porta con scritto uscita di sicurezza. So che c’è e questo mi dona serenità”. Nella scrittura ho anche trovato quella parte di me che ha fatto male. Ma nel male sono riuscita a scorgere quel bene che resta e fa la differenza. Lo stesso vale per i miei personaggi, i miei libri, mi permettono di sopravvivere. Senza di loro sarei quasi certamente una persona in costante conflitto con il mondo, o peggio, tediata dalla vita. La scrittura mi fa accettare e capire meglio la forma che ho, di dentro e di fuori. Mi accorgo delle mie idee, quelle che hai lì ferme e non si smuovono facilmente. E quando le racconti smettono di essere idea, diventano storia. Scrivo quasi sempre delle donne e per le donne. In ogni storia chi leggerà, troverà sempre un po’ di sé. Almeno ci provo. Ci sono storie difficili da vivere, le puoi solo scrivere. C’è bisogno di buone storie da cui prendere esempio, storie in cui le donne si possano ritrovare dopo essersi perse. Storie di cui vergognarsi se necessario, storie da cui prendere le distanze, storie da non evitare, perché noi donne le vogliamo vivere quelle emozioni, anche se sbagliate, per ricordare a noi stesse che non sappiamo gestire la felicità! Sbagliate? Incoerenti? Confuse? Strane? Quelle scelte ci hanno regalato dei momenti che oso chiamare felicità. Perché non esistono i momenti perfetti. Esistono i momenti indimenticabili. Accettare solo quel che c’è, in certi momenti è devastante, poi passa“.
Non esistono i momenti perfetti. Esistono i momenti indimenticabili. Accettare solo quel che c’è, in certi momenti è devastante.
Un inno a un mondo migliore senza finzione?
“Forse una speranza, quella che muore per ultima ed è testimone di tutto poi! Mi ritrovo a sperare, nonostante la bugia continua a confondersi con la verità, in un mondo senza finzione, dove l’amore è per sempre, come nelle favole. Un mondo senza le voragini delle incertezze, senza vertigini e senza filtri sui cellulari. Un mondo dove l’equilibrio non vuol dire perfezione. Sai una cosa? Io auguro a tutti di perderlo l’equilibrio. Un mondo senza le voragini delle incertezze, senza vertigini e senza filtri sui cellulari. Un mondo dove l’equilibrio non vuol dire perfezione. Sai una cosa? Io auguro a tutti di perderlo l’equilibrio”.
Un mondo senza le voragini delle incertezze, senza vertigini e senza filtri sui cellulari. Un mondo dove l’equilibrio non vuol dire perfezione. Sai una cosa? Io auguro a tutti di perderlo l’equilibrio.
Quindi smettiamo di fingere e troviamo la felicità?
“La felicità è una scelta. È anche fare finta di scegliere. Sì, si sceglie di fare finta.La felicità non si fa prendere, gioca a nascondersi. O, forse, la felicità sta nello smettere di cercarla perché, nel frattempo, la vita passa. Ho capito che puoi scappare, scegliere o rincorrere tante cose, ma quelle importanti le hai sempre avute vicine. Sono sempre state lì, nonostante tutto”.
La chiave qual è?
“Trovare il modo di sentirsi liberi con le persone con cui stiamo. L’importante è conoscersi. Concedersi la serenità di accettare le cose che non si possono cambiare, il coraggio di cambiare quelle possibili e la saggezza per conoscerne la differenza. Voglio troppo“?
Forse un po’.….
“Non c’è niente di male nel volere tanto”!
C’è sempre qualcuno da ringraziare quando un progetto giunge al termine?
“Non si nomina mai chi ringrazi sul serio. Ti fermi a quelli in prima fila. Chi si è saputo conquistare quel posto. Non è affollata la prima fila, ma per me quei pochi posti valgono tanto. E se son pochi, meglio! Li conto prima. Ringrazio, in particolare, le persone che non nomino, ma che lo sentono quanto sono presenti tra le righe di questo romanzo e le altre apparizioni senza le quali questa storia sarebbe stata diversa, o forse, non sarebbe nata affatto, perché mi hanno detto: scrivi quello che vuoi tu, non quello che si aspettano gli altri. Chi mi ha portato per mano fin dall’inizio è stato il mio editor, Claudio Sandrini, scrittore e caro amico. Mi ha seguita in tutte le fasi della scrittura, mi è stato vicino, ha rispettato sempre il mio stile senza stravolgere nulla. Anche quando gli ho presentato capitoli contorti, ha saputo leggere quello che non ho scritto, e poi me l’ha mostrato. Contestualmente, però, ha voluto conoscermi e ha imparato a capirmi, non si è limitato a eseguire un lavoro. Il lavoro dell’editor, a mio avviso, è delicato. Entra nella vita intima dello scrittore e deve metterci mano. Tutti gli editor dovrebbero prima conoscere il lato debole dello scrittore. Questa è la cosa che auguro a tutti gli scrittori di trovare in un editor”.
Progetti futuri? Storie in cantiere?
“Non mi fermo mai. Proporrò altre storie sempre più scomode e più forti, più grandi. Il mondo è troppo grande per pensare in piccolo“!
Clementina Tirino oggi si ritrova a contare troppi anni passati rispetto a quelli che ricorda e non trova pace. “Voglio scoprire che tipo di adulta sono diventata, deve esserci un’origine per tutti e con la scrittura mi scopro ogni giorno diversa. Deve essere successo qualcosa per forza in questi anni.” Afferma. Nel suo esordio come scrittrice nel 2019 con “Raccontami di Elena”, romanzo vincitore al concorso letterario “AV Opera Prima”, ci racconta un amore che muore perché segue le regole e per le stesse regole, non vive. Ripercorrendo le sue esperienze editoriali la ritroviamo finalista del VI Concorso “Quattro Passi con…”, con un racconto pubblicato nella VI Raccolta Antologica dall’omonima della Montegrappa Edizioni. Un altro racconto è stato selezionato nel concorso “Favole e Fiabe” e pubblicato nell’antologia edita da Historica Edizioni. Finalista nel concorso Nazionale “Cercando Fabrizio” e al Premio Letterario “Mille e…una storia”. Ma, è stato nel 2020 con “Il Tempo Limite” che Clementina gioca con le parole in un romanzo che sfida il tempo, quello che ci rimane. “Perché la vita”, cita l’autrice, “può essere chiusa in tre ore, tre giorni o tre mesi questi sono solo un dettaglio. Solo un numero.” Ho nel cassetto quasi tutto quello che scrivo perché sono del parere che un vero scrittore scrive principalmente per sé. Poi, quando il cassetto sta per esplodere tiro fuori qualcosa.
Ed ecco il nuovo romanzo: “Mentre Tutti Fingono”. “Lo dedico a tutte le storie perse in un inizio”, continua l’autrice. “Un inizio ignaro di una fine.”
Opere della stessa autrice
“Ci sono storie mai sbocciate che durano per sempre… Chiara non ha tempo, vorrebbe averlo, ne vorrebbe di più, ma la sua vita ha una scadenza anticipata. Stefano crede che la vita sia troppo lunga e l’ha riempita con un matrimonio e due figli. Chiara crede in Dio, Stefano nel Destino: chi dei due li abbia fatti incontrare non è dato sapersi. Chiara e Stefano viaggiano insieme, da Milano a Napoli; parlano tanto, ma non si dicono tutto, si sfiorano con gli occhi, si accarezzano con i silenzi e si perdono nell’assurdità del loro rapporto, di sicuro sbagliato, segreto… che non ha tempo. Questa non è una storia d’amore, bensì quella di due persone perse, che si sono trovate in un pomeriggio di ottobre e per un po’ hanno dilatato all’infinito le reciproche esistenze“.
“Uno psicologo di successo, un brivido nuovo, una pelle olivastra.
Un lettino, una donna smemorata con tanto da raccontare.
Un grande amore, due occhi verdi, tante rose bianche e il desiderio di tornare indietro con il tempo. Occhi lucidi, lacrime, paura e pregiudizi.
Togli il tempo. Togli anche Dio.
Due cuori in corsa che non arrivano da nessuna parte.
Passato, scelte forzate, ricordi, rimpianti, dubbi e paranoie scordate per un solo momento.
Sentimenti soffocati per colpa di un dovere che, di notte, non fa dormire.
Quattro mani innamorate che hanno smesso di cercarsi.
Pensa a queste cose, poi, cancella tutto.
Elena, una bellissima Rom, entra per caso nella vita di un noto psicoterapeuta, travolgendone le abitudini consolidate. Lei avrebbe dovuto solo rubargli il portafoglio e l’uomo, vedendola, vorrebbe farne solo un meraviglioso oggetto sessuale… ma la storia prende un percorso diverso, fatto di amore travolgente che s’infittisce sempre più, nonostante tutto e tutti. La vita cambia, l’atteggiamento professionale dello psicologo cambia, i desideri di Elena cambiano e sarà proprio il più bel segnale dell’amore tra due persone a far cambiare il destino di entrambi, irrimediabilmente“.
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