Tutti i fan dell’horror che, nei primi mesi del 1990, ne videro passare il trailer sulle emittenti televisive nazionali, non poterono fare altro che gioire nell’apprendere che due grandissimi maestri dell’horror su celluloide quali George A. Romero e Dario Argento avevano unito le proprie forze per concepire un unico lungometraggio in coppia.
Di sicuro, però, in pochissimi erano allora a conoscenza del fatto che Due occhi diabolici (questo il titolo della pellicola), inizialmente, doveva comprendere tra i propri registi anche gli ugualmente grandissimi maestri dell’horror John Carpenter e Wes Craven (alcune fonti riportano Stephen King al suo posto), ponendo tutti e quattro alle prese con altrettante trasposizioni di racconti di Edgar Allan Poe.
Quindi, Romero rispolvera I fatti nel caso di Mister Valdemar, in precedenza portato sullo schermo da Roger Corman all’interno de I racconti del terrore, sposandolo adeguatamente alle tematiche anticapitaliste tipiche dei suoi lavori, tanto da ricordare nell’evoluzione il segmento Qualcosa per sommergerti incluso nel suo Creepshow.
Opera, quest’ultima, da cui recupera non solo il mitico Tom Atkins per una breve apparizione, ma anche E.G. Marshall calandolo nei panni di un avvocato e Adrienne Barbeau rendendola protagonista, impegnata ad ordire una congiura ai danni del ricco marito moribondo affiancata dall’amante, ovvero il medico che ha anche provveduto ad ipnotizzare il malato.
Senza immaginare, però, che l’uomo sia in grado di attuare la propria vendetta anche una volta deceduto, provvedendo a trasformare il tutto in una variante dello zombismo romeriano che si evolve lentamente, fino all’epilogo splatter e con inquadratura finale dei soldi macchiati di sangue a testimoniare definitivamente la critica nei confronti dell’avidità che fu il marchio di fabbrica del compianto autore de La notte dei morti viventi.
Mentre tutt’altro che statica e in frenetico movimento è la macchina da presa argentiana del secondo tassello di Due occhi diabolici: Il gatto nero, sorretto da un ottimo Harvey Keitel pre-Tarantino che, nel ruolo di un fotografo specializzato in raccapriccianti immagini di vittime di crimini, è talmente ossessionato dal suo mestiere e dal gatto della compagna da spingersi fino a tragiche conseguenze.
Man mano che, alla direzione di un ricco cast internazionale di cui fanno parte anche l’hitchcockiano Martin Balsam e il John Amos del popolare sceneggiato televisivo Radici, colui che ci ha regalato Profondo rosso e Suspiria omaggia ulteriormente lo scrittore originario di Boston introducendo citazioni che vanno dal nome Rod Usher (è il personaggio di Keitel) ad un pendolo posto in apertura.
Pendolo la cui soggettiva lascia immediatamente riconoscere lo stile virtuoso del cineasta romano, che, oltre a concedere un fugace cameo a Tom Savini, effettista del film, riserva un incubo con impalamento e un omicidio con mannaja.
Fino all’inaspettata conclusione di Due occhi diabolici, che viene riscoperto su supporto blu-ray italiano da Rustblade, con una buona sezione extra comprendente, oltre al trailer originale, dieci minuti di intervista al compositore della colonna sonora Pino Donaggio, quasi tredici all’aiuto regista Luigi Cozzi, dodici di conversazione dell’epoca con Argento e due distinti approfondimenti dello youtuber Federico Frusciante a proposito del film e della colonna sonora.
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