Massimo Pupillo è stato un regista e documentarista pugliese che esordisce al cinema nel 1965 col lungometraggio horror 5 Tombe per un Medium, a cui seguirà il titolo a cui il suo nome è maggiormente legato, Il Boia Scarlatto, e, sempre nello stesso anno, La Vendetta di Lady Morgan. È un dispiacere che dopo soli tre horror il regista abbia deciso di lasciare il genere, perché i suoi gotici sono decisamente ben fatti e carichi d’atmosfera, e, purtroppo, ingiustamente dimenticati. 5 Tombe per un Medium, di cui parleremo oggi, vede come protagonista la divina Barbara Steele, e già solo per questo meriterebbe di essere visto e conosciuto. La regia è stata accreditata al produttore Ralph Zucker perché, a detta dello stesso Pupillo, “non gli importava molto del film”, ma a girarlo pare sia stato invece esclusivamente lui mentre Zucker dovrebbe essersi occupato solo della produzione.
Su un’epica musica com’era norma nei gotici italiani dell’epoca, firmata da Aldo Piga, si aprono le prime immagini in b/n di questa raffinata pellicola. “Tutto vince l’amore. Tutto ottiene il denaro. Tutto finisce con la morte. Tutto divora il tempo”: con queste massime degli antenati fa il suo ingresso in scena il notaio José Morgan, titolare di uno studio legale, in cui lavora con l’avvocato Albert. Poiché il notaio deve uscire e stare via un giorno intero sarà Albert a leggere la posta, nella quale si trova una lettera scritta in caratteri arcaici firmata da un certo dott. Jeronimus Hauff che chiede che il notaio si rechi con urgenza alla sua villa perché vuole redigere il testamento. Il giovane avvocato si recherà quindi lui stesso alla villa, impossibilitato ad avvertire Morgan, già in viaggio. L’antica dimora degli Hauff è circonfusa dalla superstizione dei locali, che si fanno il segno della croce solo a sentirla nominare, perché durante la grande peste del Quattrocento fu lazzaretto, e vi trovarono la morte migliaia di persone. Una volta giunto sul posto, Albert farà la conoscenza della figlia di Hauff, Corinne, e della sua matrigna ed ex moglie del dottore, l’oscura Cleo, ma alla sua richiesta di poter parlare con colui che gli ha scritto la lettera l’avvocato si sentirà rispondere che Hauff è morto da ormai quasi un anno. Troppi sono i misteri che si accalcano nelle eleganti sale della villa, ed intanto una scia di sangue inizia a colpire gli abitanti del paese: che cosa sta succedendo a Villa Hauff? Il dottore è morto o è ancora in vita? Chi ha scritto la misteriosa lettera al notaio Morgan, chiusa col sigillo di Hauff che dovrebbe esser stato sepolto con lui nella tomba?
L’inquietudine, il mistero, la suspense, sono perfettamente bilanciate in questo gotico di Pupillo, quasi tutto ambientato in una sola location ma carica di atmosfera, lo splendido Castello Chigi a Castel Fusano, nei dintorni di Roma, dove Pupillo ambienterà anche La Vendetta di Lady Morgan. L’arrivo dell’avvocato in auto alla villa considerata maledetta potrebbe essere servito di spunto a Mario Bava per il suo capolavoro gotico dell’anno successivo, Operazione Paura: in entrambi i film infatti la superstizione popolare circonda il luogo, e i paesani sembrano non volersi nemmeno avvicinare a questi posti in cui regna il terrore. Qui una vecchia contadina a sentir nominare Villa Hauff si farà il segno della croce, andandosene senza aggiungere altro, mentre nel film di Bava il medico interpretato da Rossi Stuart sarà lasciato alla porta del paese dal nocchiero, che gli dirà di non poter proseguire perché “là c’è la morte”. Questi piccoli ma efficaci accorgimenti servono per portarci subito nell’atmosfera carica di tensione che deve essere la caratteristica principale di ogni buon gotico che si rispetti. L’arrivo nella villa, bellissima ma oltremodo decadente, continua l’operazione perfettamente riuscita della costruzione della suspense, grazie anche alle inquadrature insistenti sugli oggetti contenuti nelle teche del dottore, teschi, mani mozzate, strumenti chirurgici, ricordi della tenacia con cui l’uomo ha cercato di portare alla luce la storia del lazzaretto su cui è stata poi costruita la sua abitazione. Alfred viene ben presto a sapere dall’affascinante Corinne che suo padre era un medium dedito alle pratiche occulte, con le quali sembra si fosse messo in contatto con gli spiriti dei morti, ed avesse scoperto cose terrificanti sugli untori che spargevano la pestilenza e che furono poi uccisi e sepolti in alcune macabre tombe collocate dietro la casa, in terra non consacrata, per costringere le anime di questi delinquenti a vagare in eterno senza pace né redenzione. I pensieri di Albert, sono, in effetti, parecchio espliciti della sua attuale condizione “è una situazione piuttosto sconcertante: mi trovo ospite in un lazzaretto, chiamato da un morto per redigere il suo testamento!”.
Le stranezze continuano, dall’entrata in scena plateale della quanto mai oscura diva del gotico Barbara Steele, con sul volto una pesante maschera di bellezza, alla giovane camerierina che non resta a dormire nella villa nemmeno davanti a un temporale di proporzioni esagerate, al giardiniere Kurt, silenzioso ed inquietante, che si aggira a tutte le ore tra stanze e corridoi della magione senza profferir parola. La tensione non manca mai, Pupillo sa come tenerla sempre viva e vegeta. Alcune scene più leggere vengono inserite, come succedeva sempre, o quasi, per diluire un po’ i toni cupissimi della vicenda: simpatica è quella in cui il dottor Nemek, medico della famiglia Hauff, si trova a redigere un atto di morte, ed è completamente sommerso dalle scartoffie, imprecando così contro la maledetta burocrazia, scena che, praticamente uguale, si ripete all’infinito anche ai giorni nostri in qualsiasi ufficio pubblico! D’altro canto ci sono invece scene che sono di un’inquietudine che si taglia col coltello, come quella al cimitero, in cui avviene l’apertura della tomba di Hauff, impreziosita dalla glaciale fotografia di Carlo Di Palma e da una nebbiolina degna dei migliori film di Romero, che si ritroverà anche nella spaventosa sequenza in cui le tombe degli untori cominciano pian piano ad aprirsi. È un horror con forti connotazioni giallo/thriller 5 Tombe per un Medium, e Pupillo dimostra di saperci fare nell’uno e nell’altro genere. Dall’immaginario del gotico non può mancare l’immancabile cripta, qui decisamente affine a quella di un altro titolone italiano interpretato da Barbara Steele, La Maschera del Demonio del Maestro Mario Bava (1960), con buona dose di ragnatele ovunque, ed anche qui luogo in cui si svolgerà una delle scene chiave più importanti e horror del film. Per Pupillo la cripta, essendo sotto un edificio laico e non religioso, diviene il luogo dove nel ‘400 giustiziavano gli untori che diffondevano in giro la pestilenza, luogo, quindi, di morte e sofferenza. Dal thriller, invece, sembra preso il flashback della morte di Jeronimus, circondato da quelli che crede essere i suoi più cari amici e dall’amata consorte: visibilmente onirica, irreale, ci porta in un mondo da incubo, lo stesso che il dott. Hauff ha vissuto in prima persona. Horror puro è, invece, nelle sonorità, il cigolio del carro fantasma che preannuncia l’apparizione degli spettri degli untori, spaventoso e decisamente fastidioso, adatto a mascherare la mancata visione sia del carro che degli stessi spiriti, che si lasciano solo intuire, immaginare, rendendo il tutto, se possibile, ancora più inquietante. La scena finale, sotto la pioggia catartica e purificatrice, riporta alla mente la scena conclusiva di quel capolavoro visionario che sarà poi, nel 1977, Suspiria di Dario Argento.
Se la struttura è quella molto classica del gotico di quegli anni, l’idea del lazzaretto, dei monatti, degli untori e degli appestati che comunicano dall’aldilà dà comunque al film quel tocco di originalità che non guasta mai. La suspense è in crescendo, fino ad esplodere verso la fine con tombe scoperchiate i cui abitatori tornano in vita, ed arti mozzati che riprendono a muoversi nelle vetrine e nelle provette in cui erano stati messi da Hauff per i suoi studi. Sicuramente Pupillo dimostra di saper gestire bene il materiale offertogli dal genere, anche se senza troppa convinzione.
Nel cast spicca senza dubbio la divina Steele che, sebbene non sia la protagonista assoluta, è comunque uno dei personaggi chiave di tutta la vicenda. Perennemente di nero ammantata, un po’ perché è sempre a lutto per la morte del marito, un po’ perché deve mantenere il suo appeal super dark, la regina del gotico non si smentisce e dà anima e corpo ad un personaggio tanto affascinante quanto oscuro, che mette in secondo piano la bella figliastra bionda, la Corinne interpretata da Mirella Maravidi, il cui nudo è stato censurato nella versione italiana della pellicola. Protagonista assoluto è Albert, interpretato da uno dei volti più noti dell’horror italiano, Walter Brandi: dopo aver partecipato a diversi “vampirici” di Renato Polselli (L’Amante del Vampiro, 1960), Piero Regnoli (L’Ultima Preda del Vampiro, 1960) e Roberto Mauri (La Strage dei Vampiri, 1962), arriva alla direzione di Pupillo che, oltre a questo, lo dirigerà anche nel suo cult Il Boia Scarlatto (1965). Qui dà vita a un avvocato che risulta tuttavia piuttosto blando come eroe, ed appare quasi svogliato e sicuramente poco affascinante ed empatico. Nel ruolo di Kurt, fedele servitore di Hauff, si nota il Peter Lorre italiano, Luciano Pigozzi, habitué dei ruoli da cattivo e diretto da nomi quali Alberto Lattuada, Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Mario Bava. Prima di questo parteciperà ad un altro gotico di culto del cinema italiano, Danza Macabra di Antonio Margheriti del 1965.
Insomma, togliendo i titoli più altisonanti e noti, si può tranquillamente affermare che 5 Tombe per un Medium sia da considerare uno dei migliori film gotici italiani, con una sceneggiatura avvincente, una bella regia ed un ottimo cast che non dà adito a critiche. Il finale con colpevoli ed innocenti tutti sulla stessa barca prende il posto della noiosissima e scontatissima vittoria del bene sul male. Il clima di mistero in cui si viene introdotti fin dal primo frame nello studio notarile, l’atmosfera ammuffita della bella magione, con gli orologi tutti fermi all’ora della morte del dott. Hauff, le espressioni dei personaggi del villaggio che sembrano tutti nascondere segreti inconfessabili, danno a questa pellicola all’apparenza tradizionale una marcia in più che la rende davvero interessante. Pur con scarsi mezzi a disposizione, Pupillo ha dato vita a un’opera mai banale, con ottime trovate inventive, e riuscendo a spaventare anche con l’arte nobile del celare ciò che non si può mostrare. Il volto della Steele tra le corde della grande arpa rimane dentro, e suggella un’opera che deve, necessariamente, essere riscoperta e apprezzata a dovere.
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